Articolo aggiornato al 20/05/2022

Inbound Marketing online: nuovi modi di concepirlo

Da più di dieci anni il successo dell’Inbound marketing online cresce in modo graduale e costante, guadagnando inesorabilmente la fiducia degli addetti ai lavori, che lo scelgono sempre in più numerosi per la sua capacità di creare brand awareness e per le maggiori opportunità che le sue tecniche offrono di generare traffico, lead e conversioni.

Un successo che è avvenuto, è il caso di dirlo, anche a spese dell’Outbound marketing. Tuttavia si è recentemente molto parlato nella comunità dei marketers di come l’Inbound marketing online non sia più efficace come una volta: le fonti di accesso principali al sito di un’azienda – organiche (risultati naturali di Google o altri motori di ricerca), visite dai social network, visite dai referral (siti con link e banner) – stanno inviando sempre meno traffico: la promozione dei contenuti delle community non sta più generando i referral attesi.

Perfino HubSpot ha ammesso che l’approccio Inbound sta attraversando alcune difficoltà, dovute a un fisiologico ri-assestamento del Web e dei media digitali in genere.

Naturalmente niente di tutto ciò significa in automatico che l’Inbound sia destinato a scomparire. Così come si sta dimostrando frettolosa e scorretta la predizione di chi vedeva prossima e definitiva la fine dell’Outbound. In questo articolo passeremo in rassegna i motivi di stress che stanno testando la resilienza dei meccanismi Inbound e parleremo delle soluzioni che stanno permettendo non tanto di oliare quegli stessi meccanismi quanto di immaginare un modo completamente nuovo di farli funzionare.

 

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Prima di tutto parliamo di fiducia

Nel suo Report The Hard Truth About Acquisition Costs (and How Your Customers Can Save You) il General Manager of Service Hub at HubSpot, Michael Redbord scrive: “La fiducia nelle imprese si sta erodendo, così come la pazienza. Il marketing e le vendite stanno diventando sempre più difficili e la matematica alla base della strategia di acquisizione della maggior parte delle aziende è semplicemente impraticabile. La miglior leva di business per combattere questi cambiamenti? Un investimento nel Customer Service”.

In un sondaggio effettuato nel 2018 negli Stati Uniti e nel Regno Unito Hubspot ha individuato una tendenza che si è sicuramente intensificata, anche in Europa:

  • l’81% degli intervistati si fida più dei consigli dei propri amici e della propria famiglia che dei consigli di un’azienda;
  • il 55% degli intervistati non si fida più delle aziende rispetto al passato;
  • il 65% degli intervistati non si fida dei comunicati stampa dell’azienda;
  • il 69% degli intervistati non si fida degli annunci pubblicitari;
  • il 71% degli intervistati non si fida degli annunci sponsorizzati sui social network.

La rapida diffusione della disinformazione, le preoccupazioni su come le aziende online raccolgono e utilizzano i dati personali e una vera e propria inondazione di branded content, contribuiscono a un cambiamento fondamentale: il consumatore non si fida più delle aziende o nel migliore dei casi si fida, ma con molte più riserve. I consumatori stanno diventando più impazienti, più esigenti e più indipendenti.

È un fatto. L’acquisizione di clienti sta diventando più difficile, per un serie di motivi esterni all’azienda: Internet, che da sempre trasforma in modo radicale la tradizionale strategia go-to-market, sta cambiando di nuovo obiettivi e metodologie.

L’inbound marketing online accelera la crescita del business attraverso una formula ripetibile: creare un sito Web, creare contenuti ottimizzati per la ricerca che rimandino a gated content, utilizzare le informazioni di contatto dei potenziali clienti per indirizzarli all’acquisto. Il modello funziona ancora, ma il mercato sta vivendo quattro trend che, combinati, hanno reso più difficile per le aziende in crescita competere con aziende consolidate e che dispongono di migliori risorse.

 

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Trend 1: Google si sta riappropriando del suo traffico

Gran parte del marketing moderno dipende dalla ricerca online. Google negli ultimi anni ha apportato modifiche significative, introducendo i featured snippet e i box “People also Ask” con cui sta capitalizzando il proprio traffico.

I featured snippet sono progettati per estrarre informazioni e visualizzarli sulla SERP stessa: fare clic sulla notizia originale, ospitata su un altro sito Web, potrebbe allora diventare superfluo.

I box “People also Ask” mostrano domande relative alla ricerca originale dell’utente, vivono sulla SERP e sono espandibili con un clic. Ogni volta che se ne espande uno Google aggiunge 2-4 query alla fine dell’elenco, moltiplicando le possibili fonti di informazione a cui attingere per trovare risposte alle domande correlate.

Google continua inoltre a cambiare i criteri di visualizzazione della SERP con il risultato che i risultati organici tendono a scendere ogni volta più in basso con il rischio di scomparire su un dispositivo mobile.

Trend 2: i social media sono “giardini recintati”

Un decennio fa i social media erano canali di promozione che tracciavano un percorso tendenzialmente lineare tra gli utenti e l’azienda. I confini tra i diversi siti erano fluidi: le persone scoprivano i contenuti su Facebook, Twitter e LinkedIn, un clic e venivano trasferite sui contenuti espansi, di solito ospitati su un altro sito del Brand.

Oggi i social media sono walled gardens, “giardini recintati”, i cui algoritmi sono stati riscritti per favorire i contenuti in loco creati appositamente per quella piattaforma: queste modifiche riflettono il desiderio delle aziende di mantenere il proprio pubblico sui propri siti, monetizzando il loro traffico.

Non è più sufficiente creare un contenuto per il sito aziendale e poi pianificarne la promozione attraverso i canali che rimandano a quel contenuto. Le idee dei brand devono essere contemporaneamente agnostiche e specifiche per ogni canale (channel-agnostic and channel-specific).

Per consentire a un contenuto di viaggiare lungo l’intera costellazione digitale, il suo concept deve essere chiaro, distintivo e allo stesso tempo declinabile  in diverse versioni per adattarsi al meglio al canale su cui viene visualizzato.

Trend 3: quanto è costoso fare marketing

Le barriere all’ingresso delle piattaforme di distribuzione dei contenuti stanno aumentando, per due motivi principali:

  • Aumentano i costi di acquisizione organica. Secondo ProfitWell, i costi complessivi di acquisizione dei clienti (CAC) sono in costante aumento per le aziende B2B e B2C. Negli ultimi cinque anni, il CAC complessivo è aumentato di quasi il 50%.  Anche se il CAC a pagamento è ancora superiore al CAC di content marketing (organico), i costi organici stanno aumentando a un ritmo sostenuto;
  • Aumentano i salari dei marketer. Non è solo più difficile ottenere valore dai contenuti, ma è anche più costoso crearli. L’algoritmo mutevole di Google richiede una conoscenza più specializzata che mai perché favorisce i siti progettati utilizzando il modello per cluster di argomenti (topic cluster model).

Trend 4: introduzione del GDPR e nuovi limiti al marketing in tema di dati

Il General Data Protection Regulation (GDPR – Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati) approvato dall’Unione europea (UE) regola le attività di acquisizione, archiviazione, gestione ed elaborazione dei dati personali dei cittadini dell’UE:

  • le aziende che raccolgono dati potenziali devono dichiarare esplicitamente come verranno utilizzati tali dati e possono acquisire solo ciò che è strettamente necessario per lo scopo dichiarato;
  • le aziende possono utilizzare tali dati solo per gli scopi specificati e archiviarli esclusivamente in base alle disposizioni del GDPR;
  • le aziende possono conservare i dati personali solo per il tempo necessario a soddisfare lo scopo previsto della raccolta;
  • i cittadini dell’UE possono richiedere alle aziende di eliminare i propri dati personali in qualsiasi momento.

Il GDPR,  adottato il 27 aprile 2016, operativo dal 25 maggio 2018, procede verso una maggiore regolamentazione del modo in cui le aziende interagiscono con i consumatori a livello globale. Si tratta di un insieme di misure che aumentano la sicurezza nella gestione dei dati personali dei cittadini europei ma, contemporaneamente, limitano gli “spazi di manovra” del marketing.

Convincere i consumatori? Sempre più difficile, anche in Italia

Proviamo adesso a combinare le quattro tendenze che abbiamo descritto per arrivare ad una sintesi:

  • È sempre più difficile riuscire a distinguersi in uno scenario digitale mai affollato come oggi;
  • È sempre più costoso trovare talenti e produrre contenuti;
  • I cambiamenti algoritmici imporranno investimenti sempre più ingenti necessari allo sviluppo di una efficace strategia di marketing multicanale;
  • Diventa sempre più complesso per un’azienda attirare e trattenere i potenziali clienti sui suoi touch point.

E in Italia? Un articolo di Economia&Finanza de «laRepubblica», “Acquisti, la fiducia nel brand vale più del prodotto” riporta un dato molto interessante, contenuto nel report Conad Censis “Il nuovo immaginario collettivo degli italiani”:  17 milioni di italiani hanno deciso di non acquistare qualcosa per mancanza di fiducia verso l’azienda produttrice. Una scelta, quella di rinunciare all’acquisto, che interessa il  40,5 per cento dei 18/34enni(fonte: Censis Conad, p. 8).

Particolarmente interessante per il tema che stiamo qui sviluppando è il  discorso all’interno del quale il dato è inserito. Oltre all’atteggiamento di sostanziale dubbio se non proprio di dichiarata diffidenza degli italiani verso i brand, «laRepubblica» cita nell’articolo altre due notizie:

  • la previsione del sito di informazione americano Axios, secondo il quale il mestiere del futuro sarà quello di editor in chief di media aziendali inteso nella sua declinazione di content editor, “produttore di contenuti”;
  • la classifica globale dei marchi più amati del Global Rep Trak, in cui appare chiaro come «la vittoria nella competizione per orientare le scelte del consumatore», spetti a quelle aziende che riescono a  valorizzare la loro «eredità culturale, unico fattore non replicabile»: le decisioni di acquisto sarebbero quindi influenzate in maniera determinante dall’heritage del Brand.

Queste evidenze, in sintesi, contribuirebbero a ridefinire una volta di più il rapporto tra consumatore e marchio, spostando in alto l’asticella del content, vero carburante della metodologia Inbound marketing online. I contenuti, utili, appropriati, rispettosi, scelti dall’utente al momento e nel luogo giusti non bastano più: devono arricchirsi di un senso ulteriore, appartenere davvero, mostrare le radici e progettare il futuro, diventare materia da intrecciare al proprio vissuto. Farsi ricordo personale per poter davvero restare.

Il segreto della “salvezza”? I consumatori!

Nel lungo articolo di Hubspot a cui abbiamo qui fatto riferimento, proprio sul finale, si apre uno spiraglio: la “salvezza” dell’Inbound marketing online (e del marketing tutto) passa attraverso la soddisfazione dei consumatori.

Per riuscire a potenziare la Customer Experience in modo da far crescere i clienti insieme al marchio bisogna innanzitutto tenere conto di un fatto inequivocabile: oggi le due fonti di informazioni su cui le persone fanno affidamento quando prendono una decisione di acquisto sono il passaparola e le recensioni degli altri clienti. Non tanto le descrizioni e i messaggi ufficiali del Brand e neanche la sua pubblicità più ispirazionale ma testimonianze ed esperienze positive condivise sui social, case study, referral, customer references registrate durante il processo di acquisto. Questo è il segreto per la salvezza da articolare in tre suggerimenti:

  1. preoccuparsi di comprendere a pieno l’ampiezza e la profondità delle domande dei clienti e la loro risoluzione, su tutti i canali, interagendo in modo chiaro, semplice, immediato;
  2. trasformare la relazione con i clienti da reattivo e transazionale a collaborativa e proattiva. Non più semplice supporto ma vero e proprio investimento sul successo del cliente. Questo significa anticipare problemi e sfide comuni e mobilitare le risorse necessarie per prevenirli, per esempio riprogettando l’offerta per renderla più intuitiva;
  3. attivare la base di clienti per farli diventare brand advocates, ingaggiandoli in azioni di social proof, brand amplification e referral.

Torniamo adesso, per concludere, al report di Global Rep Trak, in cui si afferma una verità tanto più cocente quanto più il contesto economico, digitale, culturale si complica: la storia e la reputazione di un’azienda contano per il 67 per cento, contro il 33 per cento del prodotto. Questo significa, in buona sostanza, che il consumatore vince le proprie resistenze solo di fronte alla capacità dell’azienda di comunicare in modo coerente e convincente il proprio sistema di valori, ricostruendo la sua storia a partire da un’eredità condivisa e riconoscibile.

Ogni organizzazione è chiamata a  dotarsi di un’immagine pubblica che possa essere partecipata dai suoi consumatori, grazie alla quale riuscire ad entrare nei loro mondi particolari, sempre più affollati di contenuti, per trovare posto nelle loro personali narrazioni, composite, stratificate mai definitive. Per questo le vetrine dei social e dei siti, istituzionali e di prodotto, non bastano: è necessario creare un profilo autentico, assicurarsi di non tradire mai quell’effetto di realtà attraverso il quale le esperienze individuali dei consumatori si agganciano all’immaginario dell’azienda.