Personalizzazione e fiducia sono due concetti intimamente collegati. Tra loro esiste una correlazione logica, simbolica e semantica straordinariamente potente, che possiamo sintetizzare, al di là di generiche intuizioni, sotto due aspetti, entrambi cruciali per l’agire aziendale.

  1. Dalla pandemia al cambiamento climatico, gli eventi degli ultimi anni hanno trasformato la nostra vita in una misura di cui probabilmente non abbiamo ancora completa contezza. In un contesto in cui i punti di riferimento che per lungo tempo abbiamo dato per scontato sono stati spazzati via, i consumatori cercano soprattutto fondamenta solide: l’88% di loro crede che la fiducia sia, oggi, alla luce dei cambiamenti in atto, ancora più importante, la risorsa che garantisce la riuscita di una qualsiasi relazione commerciale.
  2. D’altra parte l’evoluzione nella tecnologia di raccolta e analisi dei dati, l’esplosione dei social media e più in generale la conoscenza sempre più granulare che deriva dallo sfruttamento di canali e strumenti digitali possono essere considerati come la risposta (e allo stesso tempo la causa) di un diffuso atteggiamento collettivo: ciascuno di noi desidera essere visto, riconosciuto, ascoltato. Ciascuno di noi chiededi essere chiamato per nome dalle aziende a cui accorda la sua attenzione e la sua fiducia. Ciascuno di noi chiede con sempre maggiore insistenza di partecipare a comunicazioni che non devono più essere semplicemente bidirezionali ma pienamente personalizzate. E l’accelerazione digitale di questi ultimi anni non ha fatto altro che dare impulso a una domanda di personalizzazione su larga scala, tanto che oggi la maggioranza dei clienti (il 73%) si aspetta dalle aziende una comprensione totale dell’unicità dei loro bisogni e aspettative.

A partire da una radice comune (l’umanità degli attori in gioco), personalizzazione e fiducia si ramificano, rafforzandosi a vicenda in ogni ambito della nostra vita quotidiana, e dunque anche all’interno del sistema delle relazioni commerciali. Proviamo a chiarire. 

Le transazioni funzionano con un meccanismo “opt-in opt-out”. Per sbloccare l’opt-in, l’opzione per cui una persona accetta di essere coinvolta in un’attività, l’unica possibilità è di essere percepiti abbastanza affidabili da ottenere il consenso di quella persona specifica. Se da un lato la fiducia si conferma un fatto umano, soggettivo, eminentemente personale, dall’altro lato perché possa funzionare come moneta di scambio, è necessario che venga specificata, che sia declinata rispetto agli attributi individuali del singolo cliente. In questo senso la personalizzazione è un elemento costitutivo dei rapporti di fiducia, lo è sempre stata. E oggi, che le esperienze dei consumatori stanno diventando digital-first, ancora di più.

 

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Fiducia e personalizzazione nell’era della trasformazione digitale

Il nostro è un mondo intensamente digitalizzato e fittamente interconnesso, in cui, negli ultimi due anni, il 65% dei clienti ha acquistato prodotti utilizzando modalità digitali o ibride. Questo significa che le aziende che non hanno ancora costruito una solida presenza online vivono una condizione di svantaggio destinata ad aggravarsi. Queste aziende, rinunciando alle opportunità di interazione di cui invece godono quelle che hanno iniziato un percorso di trasformazione digitale, non possono contare sui touchpoint creati grazie alle nuove tecnologie e non hanno modo di accedere al patrimonio di informazione necessario ad attivare iniziative personalizzate. Non solo: le modalità di interazione create con la diffusione di internet e soprattutto con l’aumento delle possibilità di connessione mobile hanno dato luogo a un vero e proprio processo di empowerment del consumatore, che oggi non subisce più passivamente la comunicazione del brand ma può decidere se e come farsi coinvolgere. 

Al centro di queste tendenze consolidate (accesso a una conoscenza approfondita del target e status rinnovato del consumatore contemporaneo) si trova la questione davvero fondamentale, una questione che riguarda il ruolo della fiducia in azienda e che trova posto tra gli obiettivi prioritari di qualsiasi trust strategy. Stiamo parlando del delicato equilibrio tra esigenze di personalizzazione e protezione dei dati.

 

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I dati al centro del delicato equilibrio tra personalizzazione e fiducia 

L’innovazione tecnologica, abbiamo detto, ha messo i brand in condizione di fornire interazioni sempre più fluide e personalizzate. I consumatori danno ormai per scontato questo tipo di esperienze e non si aspettano niente di meno. Allo stesso tempo, sono anche più consapevoli del diritto alla privacy ed esigono che i loro dati siano protetti. 

Raggiungere un equilibrio tra utilizzo delle informazioni e tutela della privacy, tra personalizzazione e fiducia può rappresentare una sfida: i brand si trovano a dover gestire una situazione estremamente delicata, in cui normative anche piuttosto rigide come il regolamento generale europeo sulla protezione dei dati (GDPR) riflettono e amplificano l’atteggiamento di maggior cautela del pubblico rispetto alla raccolta e all’utilizzo dei dati. 

Microsoft è stata tra i primi a studiare il modo in cui le aziende provano a coniugare la necessità di offrire esperienze su misura con l’obbligo (etico, prima che legislativo) di proteggere i dati dei loro clienti.

In un suo studio del 2019 intitolato Create smarter customer journeys Microsoft intervistò un vasto campione di “High Performer”, marketer che grazie a un’ottima comprensione del percorso decisionale dei loro clienti avevano ottenuto miglioramenti significativi nelle prestazioni (fino a un aumento del ROI del 45%). Il tentativo era quello di riconoscere (e di comprendere il senso) di quei pattern e di quelle deviazioni che per effetto della crescente attenzione verso i dati sembravano avvenire in modo ricorrente durante il customer journey e di usare tale comprensione per affinare le strategie di marketing.

 

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Dall’indagine emerse come tra gli High Performer intervistati la privacy fosse una priorità assoluta. 

  • Il 55% di loro si diceva molto preoccupato per la reazione dei consumatori rispetto alla gestione da parte delle aziende dei dati di prima parte. 
  • Il 50% aveva abbandonato l’uso dei cookie. 
  • Il 48% aveva rivisto il sistema di monitoraggio dei suoi clienti.

Seppur disponendo di più dati sui clienti rispetto ai loro competitor questi High Performer potevano vantare una maggiore trasparenza nel loro utilizzo e disponevano di misure di salvaguardia a loro protezione. Il livello delle prestazioni non aveva risentito dei limiti più stringenti che avevano applicato allo sfruttamento dei dati, anzi. La precedenza data al rispetto della privacy dei loro clienti si era convertita in migliori risultati.

La sostanza della nostra riflessione è in fondo proprio questa: per quanto siano di fatto inseparabili l’una dall’altra, la personalizzazione della customer experience non deve danneggiare in alcun modo la fiducia dei clienti. Solo anteponendo l’interesse del consumatore e trattando le informazioni raccolte con cautela e in modo rispettoso, la personalizzazione può migliorare la fiducia in un brand.

Personalizzazione e fiducia sono al centro delle strategie di digital marketing di qualsiasi azienda e non potrebbe essere altrimenti: la necessità di progettare per i clienti esperienze sempre più profilate è ciò che spinge a guadagnare la loro fiducia e, allo stesso tempo, quell’esperienza è un punto di arrivo provvisorio, all’interno di un processo di costruzione della fiducia che alimenta sé stesso ed è potenzialmente infinito. Tutto quello che è ostacolo allo sviluppo di questo circolo virtuoso deve essere prontamente individuato e corretto. Ed ecco perché è forse più importante spiegare come non dovrebbe funzionare la personalizzazione digitale piuttosto che soffermarsi su come dovrebbe funzionare.

 

Come non dovrebbe funzionare la personalizzazione digitale

Abbiamo visto che i clienti oggi si aspettano flessibilità e attenzione. E come, con maggiori possibilità di scelta e un maggiore controllo sui loro dati personali, la fiducia costituisca l’elemento chiave nelle loro decisioni di acquisto.

Non possiamo intervenire in modo efficace sulla reputazione del brand e far crescere la sua credibilità, se non riconosciamo nel rispetto della privacy l’elemento fondamentale per la creazione e il mantenimento della fiducia. Non solo: i dati che i consumatori accettano di condividere non devono essere mai utilizzati per iniziative che possano essere percepite come inopportune, fastidiose e inutili. Facciamo un esempio.

Quante volte dopo aver effettuato un acquisto online siamo stati letteralmente perseguitati, per giorni se non addirittura settimane, con annunci che proponevano prodotti simili o identici e dunque totalmente irrilevanti? Secondo un sondaggio di Gartner il 38% dei consumatori decide di abbandonare un brand se le iniziative personalizzate diventano “creepy”, vale a dire se sono così insistenti da diventare inquietanti. Una delle principali preoccupazioni dei marketer dovrebbe essere quella di tenere sotto controllo la “creepiness” della personalizzazione digitale su cui stanno investendo: il rischio che corrono è di erodere il credito di fiducia accumulato e di pregiudicare la possibilità di una futura fidelizzazione.

Se i consumatori sono disposti a condividere i loro dati purché questi si traducano in prodotti ed esperienze migliori, per dimostrarsi all’altezza delle loro aspettative le aziende dovranno: 

  • rifiutarsi di implementare quegli algoritmi pubblicitari che bombardano gli utenti con suggerimenti per prodotti già acquistati;
  • essere trasparenti su come i dati vengono raccolti e utilizzati
  • consentire ai consumatori di rinunciare alla raccolta dei dati se non si sentono a loro agio (rendendo questa opzione chiaramente visibile su tutti i loro canali digitali).

La personalizzazione digitale è uno degli strumenti più potenti che vengono utilizzati per coinvolgere i consumatori. È anche, lo abbiamo ampiamente dimostrato, uno dei più “pericolosi”. E allora i brand dovrebbero assicurarsi di utilizzarla nel modo più responsabile possibile, per evitare di compromettere la fiducia di cui godono e perdere un enorme vantaggio competitivo. 

Passando da un piano ideale a uno molto più concreto: come realizzare la personalizzazione in modo da aumentare la fiducia nel proprio brand?

 

Personalizzazione e fiducia: l’autenticità paga sempre

Anche se può sembrare ovvio, quasi banale, essere autentici è il modo migliore per fidelizzare i clienti. Secondo il 74% dei consumatori comunicare in totale onestà e trasparenza è ancora più importante adesso di quanto non lo era prima della pandemia. Questo significa che la storia di un brand – che è fatta di tradizione, attualità, valori dichiarati e praticati – dovrebbe essere raccontata in modo sincero e risultare limpida e cristallina anche dopo le letture più smaliziate. 

Se spostiamo il focus del discorso per concentrarci su una delle componenti primarie della fiducia,  e cioè la connessione emotiva, scopriamo che il 62% dei clienti dice di essere legata sentimentalmente ai marchi da cui acquista. Sgombriamo subito la questione da qualsiasi dubbio: qui non esiste alcun automatismo. Perché possa verificarsi un tale livello di trasporto è necessario colmare un bisogno profondamente umano, un bisogno che ha molto a che vedere sia con la personalizzazione sia con la fiducia: quello di sentirsi riconosciuti, uno tra milioni, di voler essere salvati dall’anonimato di un sistema che ci condanna all’invisibilità, di essere coinvolti a livello individuale

 

Il ruolo della comunicazione personalizzata nella costruzione della fiducia

Combiniamo adesso questi due sentimenti: il desiderio di autenticità e il bisogno di riconoscimento. Per cementare la fiducia dei nostri interlocutori, la comunicazione aziendale non dovrà essere semplicemente chiara e diretta e trovare immediato riscontro nella realtà, dovrà anche essere personalizzata: soltanto possedendo questi requisiti (autenticità e personalizzazione) avrà davvero un impatto. Interazioni neutre e impersonali (ricevere offerte ridondanti, per esempio, o essere lasciati indefinitamente in attesa) finiscono per alienare i clienti e danneggiare relazioni conquistate a fatica. 

Con i canali digitali, i consumatori sono oggi in grado di gestire i propri flussi di informazione in un modo che in precedenza era loro precluso. Il che li ha portati ad aspettarsi che i loro interessi e le loro priorità vengano tempestivamente individuati e compresi dai marchi con cui entrano in contatto. Questo non significa solo che i brand dovrebbero avere una forte presenza digitale, ma anche che dovrebbero fornire esperienze personalizzate attraverso tutti i loro canali di comunicazione, dai social media ai siti web istituzionali

Ogni momento di comunicazione tra una azienda e i propri clienti è un momento di relazione importante ed unico, in cui il rapporto di fiducia può essere rinforzato o indebolito. L’esito di ogni interazione tra brand e cliente (aumento o riduzione del capitale di fiducia investito sul primo dal secondo) è determinato dal grado di personalizzazione di ogni comunicazione. 

Dall’implementazione di chatbot basati sull’intelligenza artificiale che rispondono immediatamente alle specifiche domande dei clienti, ai sistemi di recommendation che variano da persona a persona, dai video unici ed interattivi che incorporano i dati dei clienti ai micro-siti web dinamici e responsivi, creati per offrire una customer experience efficace e coinvolgente: grazie alle sue tecnologie Doxee offre la possibilità di una personalizzazione avanzata, preparando la strada per migliorare la fiducia nel proprio brand.