Come creare una strategia B2E efficace?

La prima vera risorsa di qualsiasi azienda, forse la più importante e preziosa, è costituita dai propri dipendenti. Sembra qualcosa di scontato, ma così, a volte, non è.

Non prendere in considerazione questo aspetto, per le company di qualsiasi comparto industriale, potrebbe rivelarsi un errore dalle conseguenze fatali: a maggior ragione in uno scenario come quello attuale, caratterizzato da una grande flessibilità del mercato del lavoro, dal moltiplicarsi delle opportunità d’impiego (anche, e sempre più, oltre i confini nazionali), dalla dinamicità delle fasce più giovani, dalla trasparenza resa possibile dall’impetuosa digital transformation.

Oggi, un giovane (ma anche un meno giovane) che si muove per cercare una posizione lavorativa presta una grandissima attenzione alla reputation delle aziende. Piattaforme come GlassDoor, in cui dipendenti ed ex dipendenti possono recensire in maniera anonima le loro aziende e i loro superiori, hanno reso questo aspetto ancor più urgente.

Una volta, poi, che la persona è stata inserita nell’organico dà un grande peso alla qualità della sua vita lavorativa, dell’ambiente e della “comunità”: è soprattutto qui che, per le company, si gioca la sfida – sempre più ardua ma sempre più vitale – della retention aziendale.

Quando gli aspetti di reputation aziendale, di selezione dei talenti, di on-boarding e di employee experience sono ben curati, l’obiettivo ultimo a cui aspirare è quello dell’employee advocacy, che ha molto a che fare con la personalizzazione, con il porre il dipendente sempre più al centro del business.

È questo il vero cuore di qualsiasi strategia di BtoE (ovvero l’approccio Business to Employee, di cui abbiamo trattato lungamente in questo articolo).

 

Innanzitutto: che cos’è l’employee advocacy?

L’employee advocacy è la promozione di una company da parte dei suoi dipendenti e collaboratori. È qualche cosa che sorge in maniera quasi spontanea, ma che va stimolata in maniera attenta, con tante piccole azioni ben mirate che puntino al miglioramento dell’esperienza quotidiana della propria forza lavoro.

Trasformare i dipendenti nei propri primi partner, in testimonial attivi e positivi, contribuisce al miglioramento dell’immagine dell’azienda e del brand in maniera decisiva, attira con grande naturalezza nuovi clienti e nuovi talenti, aumenta il senso di comunità interno e l’engagement, e genera fiducia da parte del consumatore. Un circolo virtuoso, che s’innesca in un’ottica win-win su tutti i fronti: dai vertici aziendali, agli impiegati, ai collaboratori esterni e, infine, ai potenziali clienti.

La ricerca “Trust Barometer”, condotta da Edelman, dimostra che i dipendenti sono percepiti come due volte più credibili rispetto a un CEO o a un dirigente, quando promuovono la propria azienda: sono considerati, appunto, come più spontanei e sinceri, soprattutto sui social media.

Allo stesso modo Cisco rileva che i post social dei dipendenti generano, in media, un engagement otto volte maggiore rispetto ai post dei loro datori di lavoro. Per come funzionano gli algoritmi delle piattaforme social, le persone hanno 16 volte più probabilità di leggere un post di un amico su un brand rispetto a un post prodotto dal brand stesso.

Questi dati dimostrano, meglio di qualsiasi teoria, quanto sia importante trasformare i propri impiegati in testimoni attivi, nei primi – e più efficaci – agenti di marketing del proprio brand. Ma questo accade solo quando questi sono soddisfatti del loro posto di lavoro, dell’ambiente in cui sono inseriti, quando si sentono trattati come “singoli”, come “persone” (in un’ottica di dialogo one-to-one) e – infine – quando si sentono corresponsabili della mission e della vision aziendale, quando condividono obiettivi e strategie.

Ci arriviamo nei prossimi punti, gradualmente. Partendo dal primo step: quello dell’engagement aziendale.

 

L’importanza dell’engament aziendale

Secondo i dati forniti da Glassdoor circa il 70% della forza lavoro statunitense si considera “disengaged”, dunque non coinvolta nello spirito e nelle scelte aziendali. Tra questi impiegati “non coinvolti” – non a caso – l’84% prenderebbe in considerazione l’idea di cambiare posto di lavoro se gli venisse offerta una posizione in una company più attenta alle loro esigenze. Il costo di questa enorme massa di impiegati “disengaged”, per i soli Stati Uniti d’America, è stimato tra i 450 e i 550 miliardi di dollari (sempre da Glassdoor).

Ora prendiamo in considerazione un altro dato, di nuovo molto significativo, questa volta rilevato da Corporate Leadesrhip Council: i lavoratori altamente coinvolti (“highly engaged”, in gergo) tendono a cambiare posto di lavoro con una percentuale dell’87% inferiore rispetto ai dipendenti “disengaged”.

Infine, si considerino i risultati di quest’altro studio condotto da Korn Ferry: ciò che è emerso è che le company con un alto tasso di engagement dei propri dipendenti producono, in media, delle revenue maggiori di ben 2,5 volte rispetto ai competitor con scarsi livelli di engagement dei propri impiegati.

Insomma, bastano questi numeri – senza perdersi in troppe parole – per sottolineare quanto sia fondamentale l’engagement aziendale. Che però dev’essere solo il primo step del percorso del BtoE.

 

Oltre l’engagement: condividere obiettivi e strategie

Di nuovo, partiamo da un dato concreto ed eloquente: secondo Bain solo il 40% della forza lavoro afferma di conoscere gli obiettivi e le strategie della company in cui è impiegata.

Dunque, non basta mettere in campo strategie (comunque importanti) di team building, ma è sempre più fondamentale collegare il lavoro dei propri dipendenti a uno scopo più ampio, a una mission e a una vision globali che vadano anche oltre a quelle dell’azienda: scopi sociali elevati, ad esempio, come la restituzione di valore attraverso iniziative per la responsabilità ambientale o di beneficienza. Anche identificare il proprio marchio come un ispiratore di innovazione è qualcosa di molto efficace, in quest’ottica.

A monte di tutto ciò, però, ci sono le azioni che consolidano il senso di comunità interno all’azienda: il team building a cui accennavamo sopra, innanzitutto; ma anche mostrare supporto agli impiegati nei momenti di bisogno, incoraggiare la comunicazione interna, e rendere il dialogo sempre più friendly e su misura di ognuno attraverso gli strumenti messi a disposizione dalla digital transformation.

Sul dialogo one-to-one, e sull’importanza della personalizzazione, torniamo in un punto poco oltre.

 

È soprattutto una questione di Experience – che parte dall’on-boarding

Secondo il “Global Human Capital Trends Survey 2017” di Deloitte (che ha coinvolto oltre 10mila business leader e HR manager di oltre 100 nazioni del mondo) circa l’80% degli interpellati ha individuato come “importante” o “molto importante” l’esperienza degli impiegati (di tutti i livelli) sul posto di lavoro.

Fin qui tutto conferma quello che sosteniamo dall’inizio di questo articolo, ma si faccia attenzione a un altro dato, che emerge dallo stesso studio: solo il 22% degli interpellati ha valutato la propria company come “eccellente” nell’ambito della qualità dell’esperienza degli impiegati. Tradotto: c’è ancora moltissimo da fare in questo campo così delicato e fondamentale. Dunque: grandi sfide e grandi opportunità da cogliere.

Tutto deve iniziare dai reparti di HR, certo, ma la massima attenzione deve essere poste nelle fasi di on-boarding. È in questi delicati frangenti che la persona inizia a condividere lo spirito di un’azienda, ad ambientarsi con i colleghi, a prendere confidenza con il suo ruolo e le sue responsabilità. Ecco perché il 53% dei professionisti dell’HR sostiene che l’engagement aziendale e la qualità dell’esperienza lavorativa aumentano significativamente quando si presta maggiore attenzione alle fasi di on-boarding (fonte: SilkRoad).

In conclusione di questo paragrafo diamo un’occhiata a quello che si muove tra le nuove leve, nella generazione dei cosiddetti “millenials”: da un lato, è qui che si possono scovare i nuovi talenti, più freschi e attenti all’innovazione; dall’altro, prendere in analisi questa fascia anagrafica è il modo migliore per cogliere i nuovi trend appena prima che esplodano in tutto il mercato del lavoro.

Ebbene, secondo uno studio di Fidelity, i lavoratori statunitensi più giovani sono disposti a percepire fino a 7600$ all’anno in meno, in cambio di una migliore qualità della vita lavorativa. Di nuovo, un dato che non ha bisogno di tanti commenti.

 

Il dipendente al centro – la svolta della personalizzazione

Elizabeth Dukes, co-founder di iOffice, ha scritto: “Nessuno è in grado di migliorare l’esperienza degli impiegati meglio degli impiegati stessi. Chiedi a loro quali tipi di risorse, tecnologie, esigenze e spazi ritengono fondamentali per la massima efficienza e il massimo successo; e fai in modo di darglieli…proprio come accade con i tuoi clienti!”.

In questa concisa dichiarazione sono contenuti diversi aspetti fondamentali, che riassumiamo in due punti che ci sembrano centrali.

  1. Innanzitutto, la necessità di mettere il proprio dipendente sempre più al centro del business: dalla possibilità di avere orari più flessibili, benefit e offerte speciali, fino alle opportunità di formazione…tutti aspetti da personalizzare al massimo grado.
  2. Poi, l’urgenza di mettere in pista nuove strategie di comunicazione, di condivisione e di dialogo interni.

Anche quando la propria platea di impiegati è molto ampia, si può puntare sempre più a un approccio personalizzato e interattivo. Tutto questo grazie alla digital transformation.

Si tratta, in fondo, di applicare la stessa ottica data-driven che si assume nei confronti dei propri target di clientela: in questo modo si possono raccogliere più dati possibili sulla propria forza lavoro, dividendola in segmenti dalle caratteristiche coerenti. Sulla base di questa segmentazione si potrà poi comunicare e condividere informazioni in una maniera il più possibile su misura, chiara e semplice, user-friendly, interattiva e multicanale.

Si veda il caso di Doxee, un’azienda che mette al centro del suo business l’approccio customer-oriented e interattivo, che per Poste Italiane ha realizzato una campagna basata sui video personalizzati.

Una campagna rivolta “all’interno”, al grande numero dei suoi dipendenti. Ognuno di questi, infatti, ha ricevuto un video interattivo, in cui vengono presentate le opzioni in materia di welfare aziendale, uno dei temi più caldi, importanti e sentiti nell’attuale mercato del lavoro. Con questo strumento, i singoli dipendenti sono stati messi in grado di decidere in maniera rapida ed immediata come usufruire del welfare aziendale. Tutto in pochi clic, risparmiando tempo ed evitando lungaggini e fastidi.

Insomma, finalmente sono concretamente messi al centro, con le loro esigenze individuali.

 

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