La personalizzazione nel settore food è possibile? L’industria, complessa e mastodontica, del Food and Beverage ha strettamente a che fare con i gusti, le scelte e le abitudini. Stiamo parlando, dunque, di fattori estremamente variabili e – soprattutto – intimi, personali. Iniziamo tenendo ben presente questa consapevolezza, che può apparire scontata (a prima vista), ma così non è.

Ora introduciamo un altro elemento: il digitale.

Le foto dei ristoranti, dei piatti, di tavolate di amici o colleghi, i consigli di influencer grandi o “micro”, le opinioni e le recensioni, i video tutorial e le ricette, i portali dedicati alle prenotazioni e quelli per le consegne a domicilio…potremmo andare avanti ancora a lungo, ma un fatto è chiaro: cibo e bevande sono ovunque, online. La Digital Transformation ha avuto un impatto straordinario su tutto il comparto. Un impatto che è sotto gli occhi di tutti. Ma, attenzione, non si tratta solo di marketing e comunicazione. C’è anche un impatto del digitale meno “visibile”, ma non per questo meno decisivo: ed è quello che riguarda i versanti della produzione e della distribuzione.

Teniamo a sottolineare, fin da subito, che tutti questi aspetti sono intimamente collegati tra loro, all’interno di questa Industry così ramificata. Rimandiamo tutti quelli che vogliono approfondire il vasto tema della Digital Transformation nel settore Food and Beverage a questo articolo, sempre pubblicato nel nostro blog. Ora, invece, vogliamo spingerci oltre, e chiederci: qual è il nesso tra “digitale” e “personale”?

Proprio a questa domanda risponderemo, molto concretamente, nel seguito dell’articolo, ma vi anticipiamo subito che si tratta di un nesso stretto e fondamentale. Un nesso che ha a che fare, principalmente, con i “dati”.

 

Dai Big Data, alla segmentazione, fino alla personalizzazione

Di cosa parliamo quando parliamo di “Big Data”? Iniziamo con una definizione, molto precisa e tecnica, fornita da Gartner: “I Big Data sono asset di informazioni ad altissimo volume, ad altissima rapidità e/o di altissima varietà che richiedono forme innovative di analisi e interpretazione capaci di migliorare gli insight, il decision making e l’automazione dei processi”.

Ora usciamo dalla pura tecnica, scendendo più nel concreto e nell’operativo: i Big Data sono le tracce digitali che noi tutti disseminiamo online, compiendo una ricerca sui motori di ricerca, geolocalizzandoci, postando una foto o un video su Instagram, mettendo un like, recensendo un ristorante, utilizzando un’app che monitora i nostri allenamenti sportivi o la nostra dieta, e così via. Sono definiti “Big” perché – come s’intuisce – sono davvero sterminati.

Per le company di ogni tipo di settore, imparare ad analizzare questa enorme mole di informazioni è vitale, soprattutto perché permette di fare qualcosa di molto antico (ed efficace), con strumenti di assoluta modernità: conoscere chi si ha davanti, il proprio pubblico, il proprio target e di farlo anche quando in ballo ci sono platee sterminate, come quelle della Food Industry. Eccolo qui, il primo nesso forte tra “digitale” e “personale”.

A questo livello, però, più che di persone, stiamo ancora parlando di segmenti, o di “cluster”: l’analisi dei Big Data, infatti, permette di suddividere la platea in gruppi sempre più ristretti, dalle caratteristiche uniformi e coerenti, sulla base delle più diverse metriche. Quindi, una volta identificati questi “micro-target”, li si può andare a colpire con comunicazioni su misura, puntando alla massima efficacia.

Sono queste le dinamiche del marketing data-driven, che abbiamo sviscerato in quest’altro precedente articolo, sempre relativo alla Food Industry, a cui vi rimandiamo per ogni approfondimento.

Qui, invece, ci vogliamo porre un’ulteriore domanda. Ci si può spingere oltre la segmentazione? Si può, insomma, mettere in pista delle azioni di marketing e di Customer Service rivolte davvero alla singola persona, in un dialogo completamente e realmente one-to-one? La risposta è sì. Secondo Just-food proprio la personalizzazione sarà uno dei trend più dirompenti per l’industria alimentare e, giunti a questo punto, il dato non ci stupisce.

 

Tre significativi esempi di personalizzazione nel settore Food

Nel proseguo dell’articolo – per non limitarci alla pura teoria – vedremo tre significativi esempi di marketing personalizzato applicato alla Food and Beverage Industry. Esordiremo con un caso ormai “storico”, che ha fatto scuola, e concluderemo con qualcosa che suona come molto futuristico.

 

1. Coca-Cola: la personalizzazione in una campagna pionieristica

Ve la ricordate la campagna “Share-a-Coke”? Quella in cui, su lattine e bottiglie del noto, notissimo, brand erano stampati i nomi di singole persone, con l’invito a condividere sui social la propria “Coca-Cola personalizzata”?

Era il 2011 (per i tempi del digitale, stiamo parlando quasi di ere geologiche diverse) e la campagna fu dapprima lanciata in Australia, ma visto l’enorme successo è stata esportata in oltre 70 paesi del modo. Il target iniziale, da cui è scaturita l’idea, era quello dei millenials australiani: il 50% di loro, infatti, non aveva mai assaggiato una Coca-Cola. L’obiettivo, dunque, era quello di provare a riconnettere questa enorme fascia di pubblico allo storico brand, di riconnetterla, però, in una maniera emozionale o, detta ancora meglio, in una maniera “personale”.

Se vogliamo, si trattava di un livello molto basilare di personalizzazione. Eppure, l’operazione funzionò alla grande, trasformando le singole persone in veri e propri “ambasciatori” del marchio e questo ci deve far riflettere.

Eccovi alcuni dati, raccolti solo 3 mesi dopo il lancio della campagna in Australia; sono davvero impressionanti:

  • Il consumo di Coca-Cola tra i giovani adulti australiani crebbe del 7%;
  • Oltre 76mila “lattine digitali” di Coca-Cola sono state condivise online;
  • Il traffico sui canali Facebook del brand ha visto un incremento dell’870%;
  • Le visualizzazioni di foto e video relative alla campagna, solo su Facebook (e sempre in 3 mesi) furono oltre 121 milioni.

Per approfondire tutti questi impressionanti dati, vi rimandiamo a questo link.

 

2. Unire la potenza dei video a quella della personalizzazione: il caso di Cadbury

Il video è certamente il mezzo comunicativo più efficace, nel mondo digitale. È qualcosa che tutti noi intuiamo, ma eccovi qualche dato significativo a supporto:

  • Ogni giorno, su Youtube, si guardano oltre un miliardo di ore di video.
  • Il 78% degli utenti online guarda almeno un video ogni settimana. E ben il 55% ne guarda uno ogni giorno (fonte: HubSpot).
  • Su Facebook sono circa 100 milioni le ore di video guardate ogni giorno, e su Twitter l’82% degli iscritti visualizza video con costanza (fonte: TechCrunch). Instagram, infine, ha basato gran parte del suo successo travolgente negli ultimi anni proprio su questo tipo di media.
  • Il 55% delle persone presta più attenzione nel momento in cui si approccia ai video rispetto a qualunque altro tipo di contenuti (fonte: OmniKick). Quando se ne visualizza uno, l’utente medio trattiene il 95% del messaggio in esso contenuto; se si parla di testi, questa percentuale si ferma al 10% (fonte: Wirebuzz).

Potremmo andare avanti molto, ma questi numeri sono già sufficientemente chiari. Ora, s’intuisce che accoppiare i video alla personalizzazione può essere davvero il boost definitivo, “la definitiva svolta di marketing di cui i brand hanno bisogno”, l’ha definita Forbes.

Fatte tutte queste premesse, vediamo un caso specifico, che riguarda Cadbury, una company britannica della Food Industry, seconda al mondo per la produzione di dolciumi. L’azienda ha messo in pista già da alcuni anni diverse azioni di marketing personalizzato; nello specifico, nel 2015, ha lanciato una campagna rivolta all’India, dove l’usanza di regalare cioccolato era ancora poco diffusa.

Ogni utente, collegandosi ai suoi account social, ha avuto la possibilità di costruirsi un video personalizzato; che è stato “allegato” al pacchetto regalo, attraverso un QR code o la possibilità di accedere a una sezione dedicata sul sito di Cadbury.

Diamo uno sguardo ai risultati: aumento del tasso di click-through del 65%. E un’impennata del tasso di conversioni (relative a una promozione collegata alla campagna) del 33%. Dati importanti, che hanno spinto la company ad allargare l’operazione anche sull’Australia, già nell’anno successivo.

 

3. Vinome: uno sguardo al futuro della personalizzazione

Abbiamo esordito con l’esempio di Coca Cola che, per i tempi del digitale, è ormai qualcosa di storico, e che ha fatto scuola. Ora chiudiamo con qualcosa dalle note futuristiche, che può apparire più come la fantasia di uno scrittore di fantascienza, ma che è già realtà. Ci sono alcuni player del settore che stanno portando la personalizzazione ancora un passo più in là.

Vinome, ad esempio, è una start-up californiana che offre un servizio estremamente “su misura”: analizza i tuoi gusti, le tue preferenze, e perfino il tuo DNA; sulla base di questi ti consiglia la bottiglia di vino perfetta per te, e te la consegna a casa.

Insomma, si tratta di un caso eccezionale, curioso, e certamente di nicchia…per ora, perlomeno. Però, è anche un caso sintomatico di quanto la personalizzazione sia importante per il presente della Food and Beverage Industry, e di quanto – soprattutto – lo sarà sempre di più per il futuro.

 

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