Qual è il vero impatto della digital transformation nel settore food? La Food Industry è stata rivoluzionata profondamente dall’avvento del digitale. Dai processi di produzione a quelli di distribuzione. Dal marketing data-driven, al ruolo dirompente dei social, fino alla personalizzazione.

Partiamo da un paradosso: il cibo è una delle cose più concrete e “corporee” con cui abbiamo a che fare nelle nostre vite; riguarda le nostre sensazioni fisiche, le nostre emozioni, il nostro modo di incontrarci “viso a viso” con gli altri. Eppure – contemporaneamente – è anche uno degli argomenti più in voga nel mondo digitale, ormai da parecchi anni.

Per averne un’idea, vi basta aprire Instagram: quante foto di piatti, di brindisi, di compagnie sedute allo stesso tavolo contate? Per non parlare, poi, dell’universo delle recensioni di ristoranti e locali e dei portali dedicati (tra tutti, il più noto è TripAdvisor): ormai tutti noi li utilizziamo quotidianamente e spesso fondiamo la scelta di un ristorante (ma anche quella del piatto da ordinare a quel ristorante) sulla base di quello che leggiamo, e vediamo, su queste piattaforme. Inoltre, si sta facendo sempre più spazio anche l’ambito delle prenotazioni online e via app: pensate a The Fork, che a sua volta (fatto significativo) è collegata a TripAdvisor).

C’è poi un altro grande campo in rapida espansione: quella dei servizi di delivery. Per non parlare, a monte, di tutto il marketing digitale data-driven, in costante e continuo aggiornamento.

Insomma, la Digital Transformation ha davvero rivoluzionato radicalmente il mondo della Food Industry e di tutta la sua enorme e ramificata filiera, tanto che è impossibile tracciare con completezza tutti questi cambiamenti.

In questo articolo, cercheremo di dare una panoramica schematica e incisiva, partendo davvero a monte, dagli stessi meccanismi della produzione. Ci concentreremo poi, nei paragrafi successivi, sull’importanza dei social (e dunque dello storytelling, spesso basato sulle immagini o, ancor più, sui video),  quindi su quello delle logiche del marketing data-driven, per giungere, infine, alla personalizzazione, che è la vera frontiera in questo campo.

 

L’importanza del digitale per la produzione e la distribuzione

La Digital Transformation nel settore Food ha avuto un impatto enorme, a partire dai meccanismi stessi della produzione, che sono i meno visibili al “pubblico”, ma sono decisivi (come si può facilmente intuire), perché è da lì che parte tutto.

Nel giro di pochi anni si è passati (o si sta passando) da processi e macchinari molto “meccanici” e “antichi”, all’implementazione sempre più massiccia di sistemi di Intelligenza Artificiale, IoT (Internet of Things), Machine Communication e Machine Learning.

Insomma, fabbriche sempre più “intelligenti”, smart e interconnesse. Fabbriche che raccolgono continuamente dati, preziosissimi per ottimizzare tutte le fasi di produzione, ma anche per mettere in pista operazioni di manutenzione predittiva, di gestione delle anomalie e delle emergenze, di controllo e incremento della qualità. Dalla produzione si passa poi alla distribuzione e anche qui – naturalmente – il digitale ha cambiato tutte le carte in tavola.

Stiamo parlando di un aspetto delicato e decisivo: basti pensare all’aspetto della deperibilità di cibo e bevande. La sfida per la massima efficienza, in questo campo, è davvero centrale. Anche qui, le soluzioni digitali ruotano tutto intorno alla massima inter-connessione, alla raccolta di un enorme numero di dati e alla loro interpretazione profonda e intelligente (ecco perché alla definizione di “Big Data” si tende a preferire quella di “Smart Data” e “Deep Data”), ma anche alla progettazione di applicazioni dedicate costruite su misura delle esigenze della singola company.

Naturalmente, tutto ciò ha delle significative ricadute non solo sulle aziende produttrici, ma anche sui ristoranti (grandi e piccoli), sugli store, su tutti i tipi di punti vendita che fanno parte della filiera. E in cosa si traduce traduce tutto questo?

Nella riduzione dei costi, nell’aumento dell’efficienza, nel miglioramento della qualità; elementi che si uniscono in un circolo virtuoso senza precedenti. La digitalizzazione applicata nelle fasi di produzione e distribuzione, insomma, è un tema enorme, ma qui non ci dilungheremo oltre, per non rischiare di addentrarci eccessivamente in tecnicismi e per lasciare il giusto spazio a tutto il versante che, invece, riguarda il rapporto tra questa enorme Industry e il suo “pubblico”, ovvero le persone (attenzione, sempre più “persone” e sempre meno “numeri”), tutti noi.

 

Il ruolo dirompente dei social network

Provare a sviscerare quanto sia centrale il tema del Food sui social network è un’impresa quasi titanica e qui cercheremo di darvi solo alcuni “assaggi” (per stare in tema), molto significativi, che rendono bene l’idea di quanto sia fondamentale (e irrinunciabile) costruire un’efficace strategia sui social media, per tutta la filiera, dalle grande azienei produttrici multinazionali, ai piccoli artigiani, dalla catene di ristoranti, fino ai singoli locali.

Partiamo da alcuni dati:

  • Nel 2019 gli utenti attivi sui social network in tutto il mondo, sono stati 3,48 miliardi: con un aumento su base annua del 9%;
  • Di questi, ben 3,26 miliardi accedono ai social da dispositivi mobili: l’aumento su base annua, in questo caso, è stato del 10%;
  • Già si comprende quanto sia importante disegnare la propria strategia a partire dal mobile, in un’ottica più possibile multichannel o, meglio, omnichannel.

Ma scendiamo ancor più nel particolare:

  • L’utente medio trascorre sui social network 2 ore e 16 minuti al giorno;
  • Instagram è il social che registra la crescita più importante, più rapida e più solida. Tenete bene in mente questa cosa: si tratta di un ecosistema che si fonda quasi interamente sulle immagini e sui video, il tipo di media che risulta nettamente più efficace per lo storytelling nell’ambito della Food Industry.

Non stupisce, dunque, che in un recente sondaggio commissionato da Instragram stesso ad Accenture sia risultato che proprio il Food & Beverage è l’argomento di maggior interesse per gli utenti (nel caso di questo sondaggio, il campione era costituito da utenti britannici).

Andiamo ancora più nello specifico: per il 53% delle persone interessate al tema del Food sui social (i cosiddetti “foodies”) i video sono il contenuto preferito; per il 35%, invece, sono le immagini. E quali sono le parole chiave che muovono questi “foodies”, che li portano a empatizzare per un brand invece che per un altro?

Quattro, principalmente: “qualità”, “attrattività”, “sostenibilità” e quella che in inglese viene definita “education” (un concetto più ampio dell’italiano “educazione”, e che va a coinvolgere sia la responsabilità dell’azienda che la voglia del singolo di conoscere di più).

Chiudiamo questo paragrafo con un dato: su Instagram sono pubblicate oltre 95 milioni di foto e video, ogni giorno (fonte: Wordstream). Una cifra esorbitante, in continua crescita, e che rende l’idea di quanto enorme sia il campo da gioco in cui si muove chi si occupa di marketing nel settore Food & Beverage.

C’è da perdersi, ma cosa giunge in aiuto ai professionisti del settore? Detta in breve: l’analisi dei “Big Data”, una componente fondamentale della digital transformation nel settore Food.

Usare la bussola dei Big Data

Abbiamo visto sopra quanto sia potenzialmente sterminato il campo da gioco in un cui un marketer si trova immerso, se si parla di Food & Beverage. Per di più, il target con cui ha a che fare è composto, praticamente, da “tutte le persone”. Come muoversi, dunque?

Come si può avere una panoramica generale sui trend del settore, sulle preferenze che cambiano, sulle abitudini e sui comportamenti dei consumatori?

Di nuovo, a venire in soccorso è il digitale. Digitale significa dati, enormi quantità di dati, che tutti noi disseminiamo quotidianamente attraverso le nostre ricerche on-line, i video che visualizziamo su YouTube, i post che pubblichiamo sui social network.

Ecco perché è fondamentale dotarsi dei più avanzati sistemi di analisi e interpretazioni di questi “Big Data”. Solo così ci si può fare un’idea più concreta del pubblico a cui la propria azienda (grande o piccola) può rivolgersi, per avere un “primo contatto” e provare poi a instaurare un “dialogo” fruttuoso e duraturo. Si tratta, insomma, di adottare l’ottica del marketing data-driven.

Anche qui ci si potrebbe dilungare quasi all’infinito, ma facciamo un esempio concreto e centrale: l’analisi del cosiddetto “sentiment”, che – in buona sostanza – è l’indice che misura quello che si dice di un brand; ma anche di un argomento o di un prodotto…e cibi e bevande, naturalmente, non fanno eccezione. Insomma, dall’analisi dei sentiment si possono fare supposizioni molto ben circostanziate sui trend dei vari settori di mercato.

Si tratta di tracciare menzioni e parole chiave significative sui social, sulle piattaforme dedicate, sui motori di ricerca. Farlo nella maniera più completa (e omnichannel). Dunque, interpretare questi dati nella maniera più coerente e prendere decisioni di conseguenza, sia a livello di produzione che a quello di promozione.

Immaginate di essere un brand che produce birre artigianali. Sarete interessati, certamente, al sentiment verso il vostro settore specifico (quello delle birre artigianali), suddiviso in aree geografiche e anagrafiche (ad esempio), ma anche alle tipologie specifiche in cui rientrano i vostri prodotti: se vi rendete conto che, nel Nord Italia e tra i giovani dai 25 ai 35 anni, c’è un sentiment molto positivo verso le birre Indian Pale Ale, ecco, potrete mettere in pista delle operazioni di produzione e marketing più mirate, senza essere costretti a “sparare nel mucchio”.

Oltre il data driven c’è la personalizzazione

L’analisi dei Big Data porta a conoscere meglio il proprio pubblico, quello potenziale e quello reale e – se ben fatta – a predirne i possibili comportamenti. Si tratta, in ultima analisi, di suddividerlo in segmenti dalle caratteristiche coerenti, e confezionare “messaggi su misura” per ciascuno di questi.

Ci si può spingere oltre? Sì. Si può puntare alla singola persona. È il cosiddetto “marketing personalizzato”, che è il cuore del business di aziende specializzate come Doxee.

Si tratta di imparare a conoscere “davvero” chi si ha davanti, persona per persona, e – grazie al digitale – costruire una comunicazione un marketing in un’ottica one-to-one. Rivolgersi ad ognuno, quindi, in modo diverso, a seconda delle sue caratteristiche

A ben vedere è un meccanismo antico quanto il commercio. È lo stesso che mette in atto il vostro panettiere di fiducia, o il vostro ristorante preferito, in cui vi sentite “come a casa”. Con la Digital Transformation nel settore Food, questa dinamica si riversa sui grandi numeri e anche sui grandissimi.

 

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