Dopo il terremoto provocato dalla trasformazione digitale stiamo entrando in una fase in cui l’utilizzo dei nuovi strumenti è ormai diffuso, quotidiano, quasi scontato. Possiamo allora constatare – a mente relativamente fredda – quanto profondamente la digitalizzazione abbia modificato i rapporti di forza tra clienti e brand e quanto, inevitabilmente, sia diverso l’equilibrio tra i consumatori – che sono i destinatari del messaggio pubblicitario, e le agenzie di comunicazione – che quel messaggio si occupano di ideare e veicolare lungo tutto il customer journey.

In particolare, la proliferazione di nuovi media ha giocato un ruolo fondamentale sia nel plasmare il nuovo orizzonte tecnologico sia nel ridefinire tipologia e caratteristiche dei contenuti creativi che le agenzie devono progettare per soddisfare le esigenze, sempre più complesse, delle imprese. Nel caso dei video, per esempio, lo spot (ancora molto usato in televisione) è stato via via affiancato da formati più snelli, flessibili, aperti ai contributi degli utenti-spettatori. In questo articolo ci concentreremo proprio su questa categoria di contenuto. Racconteremo il progressivo affermarsi di soluzioni audiovisive che grazie al data-telling, la modalità di storytelling basata sui dati, sono oggi in grado di intercettare come mai prima d’ora i bisogni di un pubblico consapevole, differenziato e mutevole: i video personalizzati.

 

I consumatori sono cambiati… e la comunicazione?

Prima di parlare del perché creare video personalizzati rappresenti oggi una scelta inevitabile per le agenzie, facciamo un passo indietro e vediamo come la possibilità di incorporare i dati nella comunicazione abbia determinato le condizioni per la costruzione, da parte dei brand, di narrazioni più accurate, autentiche ed efficaci. Partiamo dalla rottura di un rapporto, quello tra consumatori e advertiser.

Nel 2007 la divisione Digital Advertising Solutions di Microsoft realizza e distribuisce su YouTube un video, The Break-Up (la rottura) destinato a diventare virale. Gli scopi sono due: far conoscere le caratteristiche della propria offerta sui canali digitali e rappresentare attraverso una metafora il passaggio ad un nuovo modello di consumo dei media.

The Break-Up parla del rapporto tra una consumatrice e un advertiser (termine, quest’ultimo, che in italiano viene tradotto, riduttivamente, con “inserzionista” ma che in questo caso particolare può essere riferito anche ai professionisti delle agenzie pubblicitarie e ad alcuni profili di marketer). I due, che hanno una relazione in teoria privilegiata (sono sposati), si ritrovano in un ristorante. L’uomo è evidentemente soddisfatto e sicuro di sé, e continua ad avere lo stesso atteggiamento di ingiustificata confidenza anche quando la donna annuncia che vuole il divorzio. Nel corso dell’incontro lei chiarisce perché lo sta lasciando e lo fa in modo tombale:

“Vedi, è questo il problema tra noi: non c’è dialogo. Io sono cambiata e tu no”.

Poi lei si alza e se ne va: è disincantata più che delusa, e assolutamente decisa a terminare una comunicazione destinata, lo capiamo subito, a fallire. La causa dell’inevitabile fallimento è l’incapacità – candore? ostinatezza? – dell’inserzionista, che continua a non (voler) comprendere ciò che la consumatrice gli sta dicendo. Lui resta al tavolo da solo e fino alla fine sembra proprio non capire qual è il tema della discussione, nonostante lei lo abbia reso ampiamente chiaro: il problema è la sua assoluta mancanza di empatia, interesse, apertura. In altre parole, è l’incapacità di riconoscere l’altro come interlocutore alla pari e non come ascoltatore passivo.

 

Un nuovo paradigma: dal broadcasting alla comunicazione partecipata e personalizzata

Il video di Microsoft ha avuto un enorme successo perché registra un cambiamento epocale, quello che abbiamo descritto quando abbiamo parlato dell’impatto che i nuovi media hanno avuto su tutti i protagonisti del mondo del business: brand, consumatori, agenzie. Dal broadcasting tipico dei “vecchi media” che procede in modalità one-to-many e dall’alto in basso, cioè dal marchio al consumatore (passando attraverso le competenze di agenzie e case di produzione) al nuovo paradigma della co- creazione e partecipazione, reso possibile dai nuovi media. Un paradigma che, per così dire, inverte il senso e moltiplica le direzioni: da pubblico di spettatori, la cui unica risposta, binaria, consiste nel prestare o meno ascolto e nel comprare oppure no, a comunità di persone che possono farsi sentire come mai prima d’ora (e possono essere effettivamente ascoltate), sicure che la loro voce risuoni distintamente all’interno del dialogo con il brand.

Il video parla anche dell’altro grande cambiamento che si sta compiendo davanti agli occhi miopi dell’advertiser abbandonato: con l’adozione di massa delle nuove tecnologie l’ambiente dei media in cui viviamo si apre alla personalizzazione, e non si tratta di un cauto avanzamento ma di una progressiva, inarrestabile colonizzazione.

La consumatrice ha preso consapevolezza del potenziamento del suo status nei confronti del brand e adesso non solo pretende di essere ascoltata dall’inserzionista-pubblicitario- marketer ma vuole essere riconosciuta e conosciuta. Non accetta più di essere confusa in un vago segmento demografico. È molto di più della sua anagrafica o della sua capacità di spesa e per raggiungerla e convincerla a rimanere sono altri gli insight da estrarre dai suoi dati: gusti personali, desideri, idiosincrasie, abitudini di consumo, touchpoint preferiti. Ma sul ruolo giocato dai dati nella costruzione della relazione azienda-consumatore torneremo a breve.

Qui vogliamo invece sottolineare come il passaggio dal broadcasting a una comunicazione partecipata e personalizzata, di cui abbiamo appena parlato, si rifletta pienamente nella scelta di creare video personalizzati, una scelta sempre più frequente tra aziende e agenzie che, attraverso un format potente e efficace, possono sfruttare la digitalizzazione lungo tutto il customer journey.

I tre ingredienti del cambiamento: cultura visiva, interattività, mobilità

Per capire però a pieno perché creare video personalizzati rappresenti un’opportunità irrinunciabile per le agenzie aggiungiamo tre elementi fondamentali al nostro discorso.

1. Oggi viviamo in un periodo storico il cui tratto distintivo, secondo lo studioso francese Régis Debray, è la presenza massiccia e capillare degli schermi (videosfera). Il che ci rimanda alla propensione verso una comunicazione ancora profondamente radicata nella cultura cinematografica e televisiva.
2. La nostra è anche un’epoca in cui il consumatore può accedere a strumenti progettati per consentire relazioni dotate di un’avanzata interattività.
3. La diffusione di smartphone, tablet e altri device, che consente la fruizione in mobilità, ha imposto ai contenuti digitali una natura sempre più fluida e interstiziale, dal momento che devono essere sperimentati durante gli spostamenti, fuori casa, spesso durante lo svolgimento di altre attività.

E il risultato di scambi pienamente bidirezionali, che possono avvenire praticamente ovunque e in qualsiasi momento della giornata, è la produzione di una grande massa di informazioni, che riguardano comportamenti d’acquisto, pattern ricorrenti nella navigazione del funnel, preferenze, attriti incontrati lungo il journey. Tutti dati che possono essere capitalizzati dal brand per creare conoscenza sul target e maturare allo stesso tempo consapevolezza rispetto alla propria identità di marca.

 

Da Carosello al data-telling: creare video personalizzati per offrire esperienze uniche

Tra i diversi formati oggi a disposizione dalla agenzie, il video resta quello più efficace per perseguire l’obiettivo principale della comunicazione pubblicitaria: riuscire a risultare visibile e memorabile potendo contare su un intervallo di tempo ridotto. La TV è stata a lungo il principale media attraverso il quale distribuire questo tipo di comunicazione, fulminante, efficace, avvincente.

Dopo Carosello, in cui la marca poteva essere scopertamente reclamizzata soltanto nel “codino” finale, il break pubblicitario si impone durante le trasmissioni delle TV commerciali (anni Settanta-Ottanta) nelle forme ancora oggi attuali: 15 o 30 secondi interamente dedicati alla promozione, da inserire all’interno del flusso televisivo. Il formato breve e brevissimo, pensato per poter avere maggiore frequenza di distribuzione, fu uno dei fattori che causò un primo sovraccarico informativo, insieme alla moltiplicazione dei canali e alla concorrenza tra un numero crescente di network. I messaggi pubblicitari cominciarono ad essere percepiti come fastidiose interruzioni (significativa è la dimensione assunta in questo periodo dal fenomeno dello zapping). Negli anni Ottanta e Novanta gli spot stentavano ormai ad emergere dal caos brulicante dei palinsesti televisivi e le agenzie si trovarono in oggettiva difficoltà nel creare proposte di campagne video capaci di convincere brand e consumatori.

Con gli anni 2000 la crisi dei format tradizionali divenne quasi irreversibile: gli spot venivano ignorati da gran parte del pubblico, si differenziavano le abitudini di consumo, le persone cominciavano a sperimentare le opportunità offerte dal web. Il livello delle aspettative rispetto alla relazione con le aziende si era innalzato. Il modello, dopo aver funzionato per decenni e nonostante l’arrivo della tv satellitare, si incrinò irrimediabilmente.

Comunicare è vivere: il digitale nella pubblicità mainstream

Con Ghandi – Comunicare è vivere (premiatissimo spot tv uscito nel 2004) Telecom Italia raggiunse due obiettivi, entrambi di assoluta importanza strategica: da un lato, in un momento in cui la Rete “esplodeva” e si cominciava a parlare di rischi e tutela della privacy, l’immagine istituzionale di Telecom si arricchiva di suggestioni positive, scegliendo il Mahatma Ghandi, paladino dell’uguaglianza, come inconsapevole testimonial; dall’altro si realizzava un’operazione metacomunicativa, parlando della natura universale e salvifica della comunicazione attraverso, appunto, una comunicazione visiva (e che comunicazione: una pubblicità d’autore ideata dall’agenzia Young e Rubicam Italia e diretta da Spike Lee).

Il video ripropone un estratto del famoso discorso tenuto da Ghandi a Nuova Delhi, contenente un messaggio di solidarietà e unione tra i popoli. È ambientato nel 1947, l’anno in cui il discorso venne in effetti divulgato, ma i diversi personaggi, che vediamo in micro sequenze successive (quasi delle istantanee) possono ascoltarlo grazie ai device che esistevano nel 2004.

Dal telefonino usato dalla coppia di innamorati seduti su una panchina davanti al Colosseo al PC a cui sono connessi alcuni nativi americani, dal maxischermo nella Piazza Rossa al monitor dell’ufficio ovale nella Casa Bianca: tutto il mondo è sintonizzato su quelle straordinarie parole di pace. Lo spot, oltre a celebrare una delle qualità che è fondamento della nostra umanità e ci ha permesso di evolvere come specie (cioè la capacità di comunicare) celebra anche due degli aspetti che, abbiamo detto in precedenza, sono costitutivi della comunicazione digitale:

  • gli schermi (a significare la rilevanza della cultura visiva) qui utilizzati come oggetti magici capaci di creare una narrazione comune,
  • una forma di connettività che consente al messaggio “in diretta” di raggiungere qualsiasi angolo della terra, in situazioni anche di mobilità, nello stesso momento.

Ciò che qui manca, a ben guardare, è l’interattività e, di conseguenza, manca la possibilità di procedere a una vera declinazione del messaggio sulle persone e per le persone, intese nella loro unicità. Mancano strumenti per una partecipazione effettiva del consumatore alla conversazione con il brand. Mancano informazioni puntuali per costruire buyer persona credibili. E non sono mancanze da poco. La strada che dallo spot ci conduce a creare video personalizzati è arrivata a un punto di svolta: e adesso?

Con i video personalizzati diventiamo protagonisti delle nostre storie

Adesso succede che la profonda conoscenza del mercato e dei consumatori consentita dalla granularità informativa, l’ascolto attento delle esigenze dei clienti, l’impegno nel voler offrire una esperienza realmente significativa finiscono per rendere possibile la realizzazione di un piccolo capolavoro, in cui vediamo all’opera tutte le funzionalità di cui abbiamo parlato: mobilità, interattività, omnicanalità, personalizzazione. È il progetto Outdo you di Nike del 2015. Si tratta di un esempio tra i primi in senso cronologico e sicuramente uno dei più potenti se parliamo di uso creativo dei dati nella comunicazione pubblicitaria.

Uno degli output del progetto è un video interattivo che può essere personalizzato sfruttando le informazioni provenienti da un ecosistema articolato in cui sensori, prodotti dedicati, piattaforme di community sharing e attivazione dialogano tra loro (Nike+). A partire dai dati che questi strumenti hanno contribuito a raccogliere nell’anno precedente, Nike crea un video interattivo, di cui, se abbiamo un account personale Nike+, possiamo diventare protagonisti assoluti.

Quello che la digitalizzazione abilita, e che il progetto di Nike+ agisce concretamente, è una dimensione esperienziale nuova, che si fa strada nella vita di tutti i giorni, in cui il virtuale si integra gradualmente con il fisico, svincolandosi in certa misura da limiti spaziali e temporali. Il consumatore comincia a cercare anche nei suoi percorsi di acquisto quella stessa esperienza di libertà e flessibilità che ritrova negli altri contesti quotidiani: si aspetta che l’incremento dei touchpoint (a cui si aggiungono mano a mano quelli on line, sempre più numerosi) porti a soddisfare bisogni che sono anche bisogni narrativi, legati all’urgenza di autorappresentarsi all’interno di una realtà liquida, sfuggente, complicata.

Gli strumenti digitali per leggere una realtà complessa: Doxee interactive experience

Se il volume delle informazioni disponibili, provenienti da una molteplicità di fonti, in differenti formati (video, web series, sondaggi, social sharing, app mobile, social) è aumentato in misura esponenziale (si pensi che il 90% dei dati disponibili in questo momento nel mondo è stato creato solo negli ultimi due anni) gli strumenti digitali possono riuscire a restituire una lettura significativa di quegli stessi dati, raccogliendoli selezionandoli e interpretandoli in funzione di precisi obiettivi, per sviluppare prodotti che siano in grado di vincere le più che giustificate resistenze dei consumatori. Con i video personalizzati le informazioni diventano utili e rilevanti e possono far evolvere i processi di business di aziende e agenzie di comunicazione.

Per riuscire a leggere una realtà complessa e a tradurla in formati creativi che sappiano creare connessioni tra i brand e i consumatori oggi le agenzie hanno bisogno di strumenti dotati di precise qualità, strumenti che devono:

  • essere sviluppati con la più avanzata tecnologia web,
  • permettere personalizzazione e interattività,
  • essere pienamente bi-direzionali, multicanale, misurabili
  • essere in grado di estrarre valore da enormi volumi di dati.

Tutte queste caratteristiche le ritroviamo nella linea di prodotti interactive experience di Doxee.

Doxee per le agenzie: creare video personalizzati con il data-telling

In conclusione, la trasformazione digitale ottimizza i processi di comunicazione, e spinge a una ripensamento radicale dei diversi formati creativi (per esempio i contenuti video) intervenendo praticamente in ogni fase del costumer journey. La chiave di volta è, ancora una volta, l’esperienza del cliente, traguardo e punto di partenza al tempo stesso di un circolo virtuoso alimentato dai sistemi di elaborazione e gestione dei dati. Questa è la cornice in cui si forma l’idea alla base del data storytelling (o data-telling), tecnica di ingaggio e coinvolgimento che i video personalizzati Doxee esprimono nella forma più compiuta. Il data-telling rappresenta quindi, anche in ambito pubblicitario, una sorta di potenziamento dello storytelling. Nel data-telling di Doxee, in particolare, il “narratore” ha la possibilità di disporre di nuove risorse per la creazione delle storie in cui agiscono consumatori e clienti: il racconto assume quindi nuove dimensioni, più “digitalizzate” mediante l’uso di informazioni che provengono dai dati (dati strutturati, come nel caso di un gestionale CRM e non strutturati, come per esempio il monitoraggio delle conversazioni online).

Doxee Pvideo® è perfetto per il mondo delle agency, perché offre la possibilità di utilizzare servizi per la creazione di data-telling in maniera autonoma, con il supporto del team Doxee.

Le agenzie sono oggi chiamate a individuare le aree di intervento che possono ancora essere adatte allo spot tradizionale ma da lì devono muoversi con decisione verso una comunicazione personalizzata e interattiva, per progettare customer experience più coinvolgenti e autentiche, così da creare, tra brand e persone, legami più stabili e duraturi.