Cos’è e come cambia il Continuous Transaction Control in Europa e nel mondo?

Il Continuous Transaction Control è una tecnologia digitale rivoluzionaria che si sta diffondendo in tutto il mondo, a partire dall’America Latina, fino all’Italia. Tuttavia, la sua applicazione varia anche notevolmente da nazione a nazione: vediamo come. 

Il Continuous Transaction Control (acronimo CTC) è un modello di rendicontazione o di liquidazione delle transazioni basato sulle fatture effettivamente emesse o un suo sottoinsieme, reso possibile grazie alle soluzioni messe a disposizione dalla trasformazione digitale (Fonte: EESPA). 

In altri termini, il CTC è uno strumento digitale, che solitamente sfrutta la tecnologia cloud per svolgere i controlli fiscali sulle attività di business. I sistemi di Continuous Transaction Control, infatti, permettono di raccogliere una grande quantità di dati relativi alle transazioni compiute da tutte le aziende in tempo reale o in tempo quasi reale.

Proprio questo aspetto rappresenta un punto di forza notevolissimo di questa innovazione digitale, che in un certo senso promette di rivoluzionare (e in buona parte sta rivoluzionando) l’attività di controllo e di riscossione fiscale. 

 

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Quando cambiano gli strumenti, cambia l’intero approccio  

La rivoluzione sta nel fatto che uno strumento di questo tipo cambia radicalmente ciò che l’autorità preposta al controllo e alla liquidazione può fare, dal momento che modifica radicalmente le tempistiche in cui le autorità stesse svolgono le proprie attività. 

Solitamente, infatti, il controllo e la liquidazione fiscale ha un paio di limiti, che talvolta rendono le operazioni di accertamento e di liquidazione tutt’altro che semplici.  

In primo luogo, l’accertamento è in qualche modo vincolato alle dichiarazioni del contribuente, il quale fornisce un “report” delle attività svolte, dei documenti, delle fatture, sulla base del quale le autorità si muovono. Ciò significa che l’accertamento è di per sé circostanziato a queste informazioni o comunque ai documenti che è possibile reperire in fase di verifica: di conseguenza, il controllo è per forza di cose limitato. 

In secondo luogo, l’accertamento è reso ugualmente complesso per il fatto che avviene in un momento successivo rispetto a quando si conclude la transazione e l’emissione della fattura. 

Di conseguenza, qualunque autorità si trova nella posizione scomoda di dover muoversi a ritroso, ricostruendo quali sono stati i passaggi intermedi e verificare se sono stati rispettati i requisiti di legge, il tutto scontando il limite “fisico” dei report e dei documenti che i contribuenti producono. 

Con i sistemi di Continuos Transaction Control, questo cambia radicalmente, dal momento che le autorità hanno la possibilità di controllare le transazioni in corso di svolgimento e addirittura di verificare in via preliminare che determinate operazioni siano compliant rispetto alle disposizioni di legge, così da prevenire eventuali violazioni. 

Inoltre, spostando il campo di azione direttamente sul cloud, tutte le operazioni di gestione e monitoraggio diventano più fluide e veloci: da questo punto di vista, infatti, i sistemi di CTC si portano dietro tutti i vantaggi tipici della digitalizzazione, che permette di dematerializzare i documenti e renderli più facilmente tracciabili e reperibili a seconda delle necessità. 

 

Due modelli per un sistema di Continuous Transaction Control 

Sebbene fino ad adesso si sia parlato di CTC come fosse una soluzione digitale unitaria, in realtà non è proprio così. 

Per avere un’idea chiara di come i sistemi di Continuous Transaction Control vengono implementati (soprattutto dal punto di vista delle autorità di riscossione e controllo), occorre sottolineare che in realtà ci sono due diverse tipologie di CTC, che solo all’apparenza sono simili, ma che in realtà differiscono per la tipologia di approccio e si trattano del “reporting model” e del “clearance model” (Fonte: Sovos).

Il cosiddetto reporting model consiste nella presentazione digitale periodica, in tempo reale o quasi, di report contenenti dati aziendali attraverso delle piattaforme abilitate della delle autorità tributarie. Questa presentazione non richiede l’approvazione da parte delle autorità centrali affinché i dati registrati e la loro elaborazione continuativa svolta a livello aziendale siano valide da un punto di vista fiscale. 

Al contrario, il clearance model prevede sempre un controllo in tempo reale o quasi reale dei dati delle transazioni commerciali presentati elettronicamente all’interno delle piattaforme dell’autorità tributaria, ma la cui approvazione è richiesta in via contemporanea o preliminare per determinati dati e la loro continua elaborazione aziendale deve essere verificata per essere valida dal punto di vista fiscale.

 

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La prima differenza che salta agli occhi è che nel clearance model l’autorità ha un ruolo attivo rispetto alla transazione, dal momento che convalida effettivamente la fattura prima che la l’operazione stessa sia completa.  

Invece, nel reporting model, l’onere di provare la validità di una fattura è a carico delle aziende in un momento successivo e non durante la transazione.

Un’altra differenza interessante riguarda poi le modalità di trasferimento delle informazioni rilevanti tra il contribuente e l’autorità. 

Per quanto riguarda il reporting model, possono essere richiesti form di compilazione diversi. Ad esempio, in Spagna e in Ungheria hanno stabilito dei loro specifici standard XML, mentre Portogallo e Polonia utilizzano in tutto o in parte gli Standard Audit File for Tax (SAF-T) introdotti dall’OCSE. 

Tra l’altro, proprio questa prima tipologia di approccio è quella che maggiormente viene applicata in Europa che maggiormente si diffonderà tra gli stati dell’Unione. 

Passando invece al clearance model, il soggetto di imposta passivo ha l’obbligo di inviare solo la fattura e altri dati commerciali relativi alla transazione che l’autorità fiscale dichiara di voler ricevere, registrare e approvare. In questo caso vengono utilizzati alcuni modelli di comunicazione standard, come l’ISO20022 Invoice Tax Report, anche solo come modello di trasmissione a cui fare riferimento. 

Questo secondo sistema è decisamente meno diffuso del primo poiché le amministrazioni preferiscono utilizzare uno schema XML per le fatture, in modo da non dover dipendere dagli standard esterni. 

 

Un’origine sudamericana e uno sviluppo composito 

L’analisi dei due diversi sistemi di Continuous Transaction Control permette di sottolineare anche un altro aspetto molto importante, ovvero che la diffusione di questa tecnologia è tutt’altro che uniforme, anzi il suo percorso di implementazione è piuttosto “accidentato” e presenta delle differenze anche notevoli da paese a paese.

Ma partiamo dall’inizio. 

Il sistema di Continuous Transaction Control, in realtà, è una soluzione digitale meno “innovativa” di quello che si può credere, dal momento che i primi esempi di applicazione risalgono al 2000 (Fonte: Fintech Direct) e tra i primi paesi ad adottare queste tecnologie sono stati principalmente quelli dell’America Latina, tra cui il Cile, il Messico e il Brasile. 

Proprio qui, infatti, sono stati mossi in modo più deciso i primi passi verso l’implementazione degli strumenti di CTC, con uno scopo molto chiaro, ovvero minimizzare il gap sul gettito dell’IVA e appianare il più possibile le differenze tra le entrate IVA previste e quelle effettivamente raccolte a causa di frodi fiscali, evasioni, elusioni, errori nelle procedure di dichiarazione e liquidazione e così via. 

Del resto, il gap in materia di IVA è un problema non da poco e diffuso non solo in Sud America: anche i paesi europei, infatti, devono tenerne conto visto che rappresenta una voce negativa sul bilancio statale, che pesa in modo particolare in una fase come quella post pandemica in cui tutte le risorse economiche che si riescono a recuperare sono fondamentali. 

Proprio per questo molti stati dell’Unione Europea si sono mossi (e si stanno muovendo) per adottare questo tipo di tecnologia, in modo tale da beneficiare il prima possibile di tutti i vantaggi che i sistemi di Continuous Transaction Control assicurano. 

 

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Continuous Transaction Control in Europa e nel mondo: un quadro composito 

Nei paesi latinoamericani che hanno implementato ormai da anni dei sistemi di Continuous Transaction Control gli interventi delle autorità preposte si concentrano soprattutto sull’affinamento di questi strumenti per aumentarne i benefici e facilitare il loro impiego strategico, non solo per ridurre il gap dell’IVA, ma anche per trasformarli in leve economiche efficaci. 

Molti paesi di quest’area (come il Messico, il Cile e l’Ecuador) hanno utilizzato i sistemi di CTC per rendere obbligatoria e poi riscuotere più facilmente l’IVA sulle forniture di prodotti e servizi digitali come l’hosting di siti web, le piattaforme di e-learning, i servizi di gig economy e di sharing economy, i servizi di elaborazione dei dati, il supporto tecnico e amministrativo automatizzato e molte altre attività.  

Inoltre, hanno imposto gli stessi obblighi di dichiarazione anche a tutte le piattaforme che fungono da semplici intermediarie tra l’utente e il fornitore di beni e servizi. 

Tuttavia, nel contesto digitale la maggior parte degli introiti viene dalla vendita diretta di servizi o prodotti ai consumatori finali: per questo molti paesi dell’area hanno iniziato ad impiegare i sistemi di CTC per controllare le attività dei fornitori, sia nazionali che internazionali, senza dover richiedere così il coinvolgimento di attori terzi. 

In altri termini, stati come il Messico e anche la Colombia richiedono ai fornitori di emettere fatture elettroniche che sono pre-autorizzate dalle autorità nazionali e sulla base delle informazioni ottenute tramite questi sistemi di CTC, le stesse autorità preparano la dichiarazione periodica dell’IVA di tali contribuenti. 

Così facendo, le soluzioni di Continuous Transaction Control stanno diventando il fulcro centrale del sistema di compliance fiscale nazionale, non solo per quanto riguarda la liquidazione dell’IVA, ma anche per gli oneri tributari in materia di reddito, accise e previdenza, tanto per le transazioni nazionali quanto per le operazioni economiche anche di fornitori internazionali. 

Il risultato di queste scelte è stato notevole: il maggior e più efficace controllo sulle transazioni e l’efficacia dei servizi di tassazione digitali garantiti ai fornitori ha permesso al Messico di incrementare il gettito fiscale di circa 300 milioni di dollari; lo stesso è accaduto al Cile che ha raccolto 194 milioni di dollari dai servizi digitali e anche l’Ecuador si aspetta di raccogliere più di 19 milioni di dollari con la stessa operazione (Fonte: CPA Practice Advisor). 

 

Il Continuous Transaction Control in Europa

Passando al di qua dell’Oceano la situazione è decisamente più frammentata.  

Come si è già detto in un precedente articolo, il contesto europeo è piuttosto complicato, poiché manca un frame normativo di riferimento che armonizzi i vari sistemi di CTC che gli stati hanno implementato. 

Ad esempio, il blocco di paesi dell’Est Europa ha iniziato il proprio percorso di implementazione, con modalità diverse a seconda dei paesi (Fonte: Sovos): 

  • la Slovacchia si sta uniformando ai modelli ungherese e spagnolo, così da ridurre l’attuale gap dell’IVA (ora al 20%) e ottenere in tempo reale le informazioni sulle transazioni: per fare questo, la Slovacchia imporrà alle imprese di segnalare i dati rilevanti alle autorità prima di emettere la fattura attraverso un software di contabilità certificato. Lo stesso dovranno poi fare le loro controparti commerciali, indicando le fatture ricevute. 
  • Bulgaria e Serbia sono in una fase “esplorativa”, che dovrebbe concludersi con l’adozione di un sistema di fatturazione elettronica attraverso una piattaforma ufficiale o fornita da terzi. Per la precisione, la Serbia si trova più avanti, avendo già emanato una legge che delinea le regole per l’emissione di fatture elettroniche in contesti B2B e B2C, i requisiti di fatturazione elettronica e l’archiviazione, oltre a impostare l’obbligo di trasmissione digitale e firma digitale per molti documenti. Ciò che manca, tuttavia, è ancora l’effettiva implementazione per la quale si dovrà aspettare il 2023. 
  • La Romania appare come uno dei Paesi più in ritardo e con il bisogno più pressante, avendo uno dei gap dell’IVA più ampi d’Europa; per questo si sta adoperando per adottare un sistema di controllo fiscale digitale basato sugli Standard Audit File for Tax. 
  • Al contrario, la Croazia è stato uno dei primi paesi a implementare il sistema di CTC e ad avere un controllo in tempo reale delle transazioni. La cosa interessante è che nel modello croato, i cittadini hanno un ruolo attivo nella validazione delle ricevute attraverso una piattaforma online certificata (per questo è stato imposto un QR Code sulle fatture che possono essere registrate semplicemente inquadrandole). 

Il filo rosso di tutti questi approcci al Continuous Transaction Control in Europa è quello di rendere i controlli più efficaci e immediati, così da rendere il proprio sistema di tassazione più competitivo, riducendo elusione ed evasione. 

 

Dal “blocco orientale” a quello occidentale 

Ovviamente anche altri paesi stanno percorrendo la stessa strada, con tempistiche e modalità diverse. 

Ad esempio, la Francia dal 2023 introdurrà l’obbligo di fatturazione elettronica per le transazioni nazionali B2B (Fonte: Sovos), in modo tale che ogni operazione rilevante venga autorizzata prima dell’emissione della fattura, mentre le altre o quelle transnazionali continueranno a funzionare come “al solito”. 

Allo stesso modo, anche la Polonia, nonostante qualche ritardo, si avvia quest’anno ad adottare un sistema di fatturazione elettronica per le transazioni B2B, sia con il modello di autorizzazione preventiva che con la notifica elettronica in tempo reale (Fonte: SEEBURGER). 

Per farlo, sarà ovviamente necessario utilizzare una piattaforma certificata su cui dovranno essere caricate le transazioni compiute, in modo da permette alle autorità di controllo di monitorare sul rispetto dei requisiti di legge. 

E l’Italia? 

L’Italia, assieme a Spagna e a Ungheria, ha rappresentato un’apripista di queste innovazioni, avendo imposto ormai da tempo la fatturazione elettronica obbligatoria per quasi tutte le tipologie di transazioni (Fonte: SEEBURGER). 

Questo non significa che la strada sia finita, ma se non altro la direzione è giusta: ora manca solo un’armonizzazione europea per rendere questa trasformazione davvero completa.