Quanto è importante la fidelizzazione nel settore Food? Provate a visualizzare gli scaffali del vostro supermercato di fiducia.

Iniziate a concentrarvi solo sul reparto della pasta. Quanti prodotti e quanti marchi vedete? Ora provate a tornare indietro a 10 anni fa o anche solo a 5; pensate allo stesso scaffale e allo stesso reparto: notate qualcosa?

 

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Sì, i marchi si sono moltiplicati e anche gli stessi packaging sono sempre più curati e diversificati.

Ci sono i prodotti di piccoli e medi pastifici che, prima, non avrebbero mai raggiunto questo supermercato, e che fanno della loro “località” un motivo di vanto, qualcosa da esibire in bella vista. E poi c’è tutta quella varietà prima impensabile: i diversi tipi di pasta integrale, pasta di mais, di riso, di grano saraceno, perfino di quinoa.

Ci sono le tipologie senza glutine, adatte ai celiaci. Infine, sullo stesso scaffale, ci sono anche diversi tipi di spaghetti di soia, in confezioni che evocano la Cina e l’Oriente.

Se provate ad allargare il vostro sguardo all’intera selezione dei prodotti del vostro supermercato di fiducia, vi renderete conto in maniera molto concreta di una cosa: non c’è mai stata una scelta così ampia sugli scaffali.

Per non parlare poi di tutto quello che riguarda il mondo della ristorazione…

Questo concetto, trasportato sul fronte delle aziende della Food and Beverage Industry, si traduce così: il mercato non è mai stato così aperto, affollato di diversi player; e la competizione non è mai stata così dura e complessa, ma – aggiungiamo noi – si sono incredibilmente moltiplicate anche le opportunità di business; si tratta di imparare a coglierle e di sfruttarle al meglio.

Da dove bisogna partire, quindi? Dalle persone. È la risposta più semplice, ma anche quella decisiva. Chiediamoci subito, però: qual è l’obiettivo finale?

Di nuovo una risposta semplice, ma decisiva: la fidelizzazione. Conquistarsi la fiducia dei propri clienti, trasformarli in “clienti abituali” e – ancor di più – in veri e propri testimoni positivi del proprio marchio, del proprio ristorante, del proprio locale, nei primi – e più credibili – agenti di marketing.

 

Quanto è importante la fidelizzazione nel settore Food?

La risposta più diretta alla domanda che fa da titolo al paragrafo è questa: la fidelizzazione è fondamentale in tutti i settori. In quello del Food and Beverage, invece, è la cosa più importante. I professionisti di questo comparto lo sanno bene.

Però, procediamo comunque per gradi, fornendo dei numeri – molto eloquenti – a supporto.

Partiamo da una persona, Frederick Reicheld, di Bain & Company, l’inventore del cosiddetto “Net Promoter Score”. Reicheld ha condotto una ricerca molto ampia e ha dimostrato che, a seconda della tipologia di Industry, conquistare un nuovo cliente costa dalle 5 alle 25 volte tanto, rispetto a fidelizzarne uno. Avete lette bene: dalle 5 alle 25 volte!

Inoltre: aumentare il tasso di fidelizzazione (detta anche “Customer Retention”) di un solo 5% fa incrementare i profitti di una percentuale che va dal 25% al 95% (bain.com).

Questi numeri parlano da soli. Però, ora proviamo a concentrarci – nello specifico – sul comparto alimentare.

Abbiamo già sottolineato all’inizio quanto il settore sia iper-competitivo e come lo stia diventando sempre di più. E questo è il primo punto; che non riguarda solo la grande distribuzione organizzata, ma anche tutto il settore del retail, della vendita diretta e della ristorazione, ma si può andare oltre.

Tutti gli attori di questo enorme e complesso settore, infatti, vivono (o muoiono) di acquisti ripetuti nel tempo e i margini di guadagno sul singolo prodotto non sono – generalmente – così ampi.

Dunque, come si possono generare alti o volumi di revenue?

In due modi: o portando le persone a spendere di più per ogni singola “visita” (che sia al supermercato, al piccolo negozio di alimentare, al fast-food, o al ristorante vegano) o facendo in modo che queste stesse persone tornino più spesso e con costanza.

Detto in una parola: per generare più fatturato e più revenue (ma non solo) la strada maestra è la fidelizzazione.

 

È tutta una questione di personalizzazione 

Il cibo è un tipo di acquisto “essenziale”, che riguarda in maniera molto intima le nostre abitudini, i nostri gusti, le nostre preferenze, ma anche il modo in cui ci rappresentiamo.

Pensiamo ai differenti “mondi di valori” che stanno dietro la scelta di una trattoria che tratta solo prodotti a chilometri zero, rispetto a quella di un ristorante vegano, oppure quella di un’esperienza in un ristorante stellato.

Il cibo, per dirla in breve, è qualcosa di molto personale e – se sei il proprietario di un piccolo ristorante, o il Chief Marketing Officer di un brand multinazionale – per conquistare la fiducia del tuo cliente devi imparare a rivolgerti a lui, appunto, in maniera il più possibile personalizzata.

È quello che ha sempre fatto il panettiere sotto casa vostra: sa che vi piace il pane di tipo pugliese e ve ne tiene sempre un po’ da parte e magari vi invita a provare un prodotto simile, appena arrivato, che voi – con i vostri gusti, che lui conosce – potreste apprezzare.

Ma è possibile avere un approccio personalizzato quando ci si rivolge a un pubblico composto di centinaia, migliaia o milioni di persone?

La risposta è sì ed è qualcosa che è stato reso possibile grazie alla Digital Transformation. Principalmente, è una questione di dati.

Per farla semplice, torniamo al vostro panettiere di fiducia: nella sua memoria ha immagazzinato il vostro volto, il vostro nome, le vostre abitudini e le vostre preferenze e sulla base di quelle si rivolge a voi e vi fa delle proposte “su misura”. Che hanno una maggior probabilità di “andare a segno”.

Lo stesso meccanismo è alla base dell’analisi dei cosiddetti “Big Data”; si tratta di raccogliere le “tracce” che le persone lasciano online, dati anagrafici, geografici, i comportamenti, le abitudini, le preferenze, mappare le cosiddette “customer journey”, sui social, su piattaforme e/o app dedicate, da desktop e/e da mobile. Un numero enorme di informazioni.

Grazie all’archiviazione di queste “tracce” e – soprattutto – grazie a una loro interpretazione funzionale, si può suddividere il pubblico effettivo e potenziale in gruppi sempre più ristretti, dalle caratteristiche sempre più coerenti e univoche. È la cosiddetta “segmentazione”. A questo punto, si possono mettere in pista operazioni di marketing e di Customer Care mirate; e questa è la cosiddetta “targetizzazione”. Questo è il punto di partenza della fidelizzazione.

Ma si può andare anche oltre e attivare un dialogo con i singoli individui, realmente e concretamente personalizzato. È quello di cui si occupano aziende come Doxee, specializzate nei servizi user-oriented, in un’ottica perfettamente one-to-one.

 

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