Strategie di marketing nel settore del lusso: mentre il settore del lusso va incontro a trasformazioni profonde anche la comunicazione e il marketing, incaricati di veicolare valori e immaginario del brand, irresistibilmente, cambiano le loro strategie. Il marketing del lusso, in particolare, che sviluppa i messaggi del marchio per supportarne le strategie commerciali, ha costruito e decostruito negli anni le pratiche di incontro tra brand e potenziali consumatori, accogliendo e internalizzando (spesso con enorme fatica) le tendenze tecnologiche e culturali del mondo esterno.

 

Di lusso non ce n’è uno solo: istruzioni per imparare a riconoscerlo

Il lusso è un concetto sfuggente. Per provare a centrarlo Jean-Noel Kapferer e Vincent Bastien (The Luxury Strategy: Break the Rules of Marketing to Build Luxury Brands, 2012) lo declinano in cinque definizioni specifiche, che sono centrali nello sviluppo delle strategie di marketing nel settore del lusso, sia nel senso di una loro messa a valore, sia nel senso di una ragionata presa di distanza: lusso come concetto assoluto, lusso come concetto relativo, il “mio lusso” concepito come scelta intima e personale, lusso come settore di attività e infine lusso come strategia o modello di business.

 

  1. Il lusso assoluto. Evoca stili di vita, oggetti e servizi costosissimi, molto personalizzati, quasi inaccessibili. La sua funzione sociale latente è quella di ricreare una stratificazione sociale, particolarmente necessaria nei paesi che coltivano un’idea di società priva di classi (come la Cina o gli Stati Uniti). È il possesso che determina significato e pragmatica del consumo e in questo caso il marketing risulta poco incisivo, quasi inessenziale.

 

  1. Il lusso relativo. Lusso per chi, e non lusso rispetto a qualcosa. In questo caso non è più possibile razionalizzare le motivazioni rispetto a KPI quantificabili. Questo significato è legato alle nozioni di eccesso, va ben oltre le semplici ragioni funzionali e sconfina in un territorio di puro piacere e desiderio.

 

  1. Il “mio lusso” è una rivelazione molto personale sui propri sogni, qualcosa di raro, altamente emotivo ma non inaccessibile. È esperienziale, è intimo, non mira ad attivare processi di imitazione o di ostentazione, non crea business.

 

  1. Il lusso come settore si riferisce alle società che appartengono al comparto del lusso e che sono indicate, nei diversi paesi, da un’organizzazione ufficiale che le rappresenta (in Italia è AltaGamma) e che aggrega i dati delle vendite al dettaglio per comporre una stima a livello macro dell’andamento dell’intero settore in quel Paese. Il lusso come mercato è, in altre parole, la definizione istituzionale prodotta dalle indagini di società di consulenza, estesa all’uso corrente.

 

  1. Il lusso come strategia si riferisce al fatto che il lusso è un modello commerciale molto specifico, che è stato inventato dai primi luxury brand affermatisi nel dopoguerra. Ha regole e prescrizioni specifiche, diverse rispetto quelle della moda o di un modello di business premium.

 

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Che cosa è il lusso secondo il marketing: 6 principi e un particolare fenomeno per individuarlo

Le cinque definizioni contenute nel libro di Kapferer e Bastien condividono un nucleo comune, basato su sei principi. Un prodotto e un servizio sono di lusso se:

  • si affermano in un senso edonistico, esclusivamente qualitativo;
  • sono offerti a un prezzo di gran lunga superiore al loro valore materiale/funzionale;
  • sono legati a un patrimonio, un know-how e una cultura unici, distintivi di un marchio;
  • hanno una distribuzione volutamente limitata e controllata;
  • sono accompagnati da servizi di customer care altamente personalizzati;
  • rappresentano un marcatore sociale, sono vale a dire in grado di trasmettere un senso di privilegio.

Altri fenomeni concorrono, per esclusione, a delimitare il perimetro di ciò che è lusso: la banalizzazione dei brand, per esempio. Virginie De Barnier, Sandrine Falcy, Pierre Valette-Florence in Do consumers perceive three levels of luxury? A comparison of accessible, intermediate and inaccessible luxury brands, avanzano due ragioni per spiegare la portata e le conseguenze definitorie di questo fenomeno. Se ci collochiamo all’interno di una prospettiva finanziaria a breve termine, possiamo notare come talvolta alcuni marchi del lusso utilizzino sempre di più pratiche di “commercializzazione di massa”, che sfociano in vere e proprie tecniche di “overmarketing”. Gli attributi del marchio sono gestiti in modo incoerente rispetto alla brand identity: è il “mastige” (mass + prestige), il lusso in serie. Una sorta di ossimoro, secondo il senso comune.

 

Le leggi anti-marketing che hanno fatto grandi i luxury brand

Questa confusione attorno al concetto di lusso è il riflesso della suprema confusione che esiste tra tre concetti: prodotti esclusivi, prodotti costosi e prodotti di lusso. Per tentare di districarsi in questo sottobosco di classificazioni proviamo ad uscire dalle teorie accademiche per osservare invece una storia di successo, in cui le strategie del marketing sono state radicalmente cambiate.

In un suo articolo di qualche tempo fa, Marketing To A High-End Consumer, Using The Luxury Strategy (fonte: Entrepreneur.com), Vincent Bastien (professore alla Paris-Dauphine e all’HEC) racconta di come circa 40 anni prima alcuni marchi di lusso europei, famosi ma all’epoca piccoli, decisero di sfruttare l’opportunità della globalizzazione per crescere in modo significativo al di là della ristretta cerchia dei loro clienti storici. Questo manipolo di brand estremamente lungimiranti capì innanzitutto che non poteva attuare le solite strategie di marketing, che lo avrebbe sì aiutati a crescere, ma avrebbe determinato un posizionamento esterno all’area del lusso percepito. Bastien ha coniato una espressione per designare quei “principi gestionali controintuitivi”, che hanno permesso ai marchi di emergere vincitori in quel particolare frangente storico, arrivando ad esercitare un controllo formidabile su prezzi e margini. Sono le “leggi anti-marketing”. Ma prima chiariamo alcune differenze tra le strategie che maggiormente trovano applicazione nel luxury.

 

Tre strategie a confronto: lusso, moda, premium

Nel cosiddetto mercato del lusso, esistono tre possibili strategie: lusso, fashion e premium. La differenza tra queste tre strategie è enorme: nel caso del fashion e del premium, gli stili di marketing classici funzionano abbastanza bene. Per le strategie di marketing nel settore del lusso è necessario invece riconsiderare tutti gli aspetti della gestione del marketing.

 

  1. La strategia di lusso mira a creare il massimo valore per il marchio e il pieno potere nel determinare i prezzi sfruttando tutti gli elementi immateriali legati all’identità del brand, come per esempio la tradizione, il paese di origine, la storia artigianale della produzione, le tirature limitate legate alla scarsità di pregiate materie prime, i clienti prestigiosi, ecc.

 

  1. La strategia della moda è un modello di business totalmente diverso: qui il tempo non è determinante; la moda vende essendo “alla moda”, vale a dire un valore transitorio, oggetto di una obsolescenza programmata, per dirla con un’espressione mutuata dall’high tech. Del modo in cui funziona il marketing del fashion abbiamo parlato in una serie di articoli. Per approfondire, puoi iniziare da qui.

 

  1. La strategia premium è una strategia eminentemente comparativa. Può essere sintetizzata con l’adagio: “pagare di più, ottenere di più”. L’obiettivo è individuare, attraverso confronti, benchmarking, rapporti qualità/prezzo il miglior prodotto o servizio all’interno di una data categoria.

La strategia di lusso è la più efficiente e la più efficace. È distintiva del comparto entro cui è nata e si è sviluppata e raramente viene adottata in altri mercati. Per applicarla concretamente, secondo quanto affermano Bastien e Kapferer (2012) è necessario applicare 24 leggi anti-marketing di cui forniamo a seguire l’elenco completo.

 

Strategie di marketing nel settore del lusso: le leggi anti-marketing per implementare una strategia di lusso

  1. Dimentica il posizionamento; il lusso non è comparativo
  2. Il tuo prodotto deve avere “abbastanza difetti” per poter avere anche un’anima
  3. Non assecondare i desideri dei tuoi clienti
  4. Escludi i non appassionati
  5. Non rispondere alla domanda crescente
  6. Domina il cliente
  7. Rendi l’acquisto da parte dei clienti un’esperienza difficoltosa
  8. Proteggi i clienti dai non clienti, i grandi dai piccoli
  9. Il ruolo della pubblicità non è vendere
  10. Comunica a chi non fa parte del target
  11. Il prezzo presunto dovrebbe sempre sembrare superiore al prezzo effettivo
  12. Il lusso stabilisce il prezzo; il prezzo non definisce il lusso
  13. Aumenta i tuoi prezzi col passare del tempo, al fine di aumentare la domanda
  14. Continua ad aumentare il prezzo medio della gamma di prodotti
  15. Non vendere
  16. Non coinvolgere persone famose in qualità di “agenti di vendita”
  17. Coltiva la vicinanza alle arti
  18. Non delocalizzare la produzione
  19. Non assumere consulenti
  20. Non fare test
  21. Non cercare il consenso
  22. Non cercare sinergie di gruppo
  23. Non perseguire la riduzione dei costi.
  24. Su Internet: vendi solo marginalmente e mai in modo aperto

Per una trattazione articolata di ciascuna delle 24 leggi rimandiamo al testo originale, già ampiamente citato (The Luxury Strategy: Break the Rules of Marketing to Build Luxury Brands, Jean-Noel Kapferer e Vincent Bastien, 2012). In questo articolo ci limiteremo a trattarne alcune tra le più significative.

 

Anti-legge n. 1: dimentica il posizionamento, perché il lusso non è comparativo

Nel marketing di consumo, al centro di ogni strategia di marca, si trovano il concetto di posizionamento, la proposta di vendita unica (Unique Selling Proposition) e il vantaggio competitivo unico e convincente (Unique and Convincing Competitive Advantage). Ogni marchio deve specificare il suo posizionamento e quindi veicolarlo attraverso i suoi prodotti, i suoi servizi, il suo prezzo, la sua distribuzione e la sua comunicazione. Il posizionamento è il riconoscimento di uno scarto che crea la preferenza per un determinato marchio. Il lusso, però, non è in alcun modo comparativo: è affermativo e superlativo. Ciò che conta è essere unici, senza dover ricorrere al confronto con un competitor. Il lusso è espressione di un gusto, di un’identità creativa, unica, autentica, non negoziabile e atemporale perché capace di durare nel tempo e sopravvivere alla moda.

 

Anti-legge n. 3: non assecondare i desideri dei tuoi clienti

Una delle maggiori leggi anti-marketing potrebbe sembrare un insulto agli insegnamenti della teoria classica che prescrivono prima di tutto l’orientamento al cliente e l’ascolto attento del consumatore. I marchi di lusso seguono però altre logiche, che privilegiano i sogni rispetto alle urgenze e non si preoccupano di rispondere a problemi e bisogni. Il lusso è una “non necessità resa desiderabile”: vende emozioni, aspirazioni, proiezioni (elevazione di sé, piacere, riconoscimento). C’è poi una ragione strutturale per cui il marketing tradizionale non potrebbe funzionare nella strategia del lusso: usare gli studi di mercato per fotografare i comportamenti e le aspettative del consumatore porta a un appiattimento sulla media.

“Ma il lusso deve essere diverso. I marchi di lusso sono forze culturali. Il lusso riguarda l’educazione al gusto. Ecco perché flirta così tanto con l’arte, soprattutto l’arte più avanguardistica. I marchi di lusso non mirano ad essere popolari (vale a dire, apprezzati da tutti oggi), ma mirano invece a stabilire gli standard di gusto duraturi per domani.” (Vincent Bastien, articolo citato)

 

Anti-legge n. 10: comunica a chi non fa parte del target

Il lusso ha due aspetti: il lusso per se stessi e il lusso per gli altri. Entrambi gli aspetti sono essenziali, ma mentre il primo è in qualche modo autosussistente perché sostanzialmente ego riferito, il secondo prevede il dispiegarsi di motivazioni e interazioni con l’esterno e sottolinea l’inevitabilità del lusso “desiderato” soprattutto da chi non se lo può permettere. Nel marketing tradizionale, l’obiettivo è l’ottimizzazione del ritorno sull’investimento. Per questo nell’advertising dei brand non di lusso il piano media si concentra sui consumatori target: ogni persona raggiunta oltre l’obiettivo è uno spreco di investimenti. Per i luxury brand è invece di vitale importanza diffondere la consapevolezza del marchio oltre il gruppo target, in modo molto positivo, attraverso contenuti che inspirino consapevolezza, trasmettano ricchezza di significati, ricreino un mondo lontano e prestigioso.

 

Anti-legge n. 16: attenzione alle celebrità

Le celebrità devono essere utilizzate con cautela e parsimonia nella strategia del lusso. Non possono funzionare se impiegati come meri agenti di vendita che invitano all’acquisto, interpellando i  nuovi clienti per creare in loro la scintilla del desiderio di emulazione (questo, semmai, può avere una qualche efficacia nel modello di business della moda). Devono essere usati, quando usati, come testimonial, persone straordinarie che scelgono un prodotto di lusso, e quel prodotto di lusso, solo per loro, proprio in virtù del loro status, diventa ordinario.

 

L’avvento dei media digitali: mille opportunità e qualche rischio

L’aspetto chiave del modello di business di lusso è il controllo. Un marchio di lusso è così esigente riguardo al suo livello di qualità che non può permettersi di avere dei “punti d’ombra” lungo la catena del valore e allo stesso tempo deve creare una distanza, simbolica prima ancora che fisica, nel rapporto con i clienti. La digitalizzazione (Internet prima e i social media poi) ha imposto fin da subito una lingua costituzionalmente diversa, improntata a modelli dialogici, plurali e caratterizzati dalla vicinanza: accessibilità gratuita per chiunque, 365 giorni all’anno, 24 ore su 24; comunicazioni peer-to-peer; presenza disruptive dei social, crescita vertiginosa dell’e-commerce, proliferazione dei touching point.

Se è indiscutibile che il lusso ha imparato a sfruttare le tante opportunità offerte dalla rivoluzione digitale, è altrettanto vero che lo ha fatto seguendo un imperativo, pena la perdita della propria identità e il tradimento della propria vocazione: mantenere la capacità di differenziarsi, spostare la soglia di accesso ancora più lontano, continuare ad alimentare il desiderio per qualcosa che deve essere avvertito (a torto o a ragione) come irraggiungibile.

 

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