Qual è il ruolo dei Big Data nel marketing sportivo? Si fa presto a dire Big Data. È una buzzword che si legge e si sente pronunciare un po’ ovunque. Però: siamo sicuri di sapere di cosa stiamo parlando? Di coglierne il vero significato e la vera portata? E, soprattutto, sappiamo quali opportunità si celano dietro questa “etichetta”?

Sono domande fondamentali, che chi si occupa di marketing nel settore sportivo deve porsi, senza accontentarsi di restare in superficie, ma spingendosi il più possibile in profondità. Solo così si può accumulare conoscenza e – di conseguenza – vantaggio competitivo, chiedendosi, appunto: qual è il ruolo dell’analisi dei Big Data nel marketing sportivo? E perché è così fondamentale, soprattutto in questa industry? Le risposte in quest’articolo.

 

Big Data

Partiamo, innanzitutto, da una definizione molto tecnica, che ci è fornita da Gartner: “I Big Data sono asset di informazioni ad altissimo volume, ad altissima rapidità e/o di altissima varietà che richiedono forme innovative di analisi e interpretazione capaci di migliorare gli insight, il decision making e l’automazione dei processi”.

Ora, come si traduce questa definizione piuttosto fredda e astratta, nella pratica quotidiana del business? In una gamma davvero vasta di modalità.

L’ottimizzazione dei processi, innanzitutto, che grazie a questa enorme mole di dati possono essere tenuti sotto controllo in maniera pervasiva e dinamica: con il risultato di migliorarli e di spingerli all’eccellenza. Avere a disposizione più dati significa, dunque, poter costruire strategie di business più efficaci. Ma, contemporaneamente, anche migliori strategie per la retention e la soddisfazione dei propri impiegati, ad esempio (e a questo aspetto, centrale ma non sempre così ben considerato, abbiamo dedicato un intero ebook, che potete scaricare qui).

C’è però un versante che più di ogni altro ha giovato di questa vera e propria rivoluzione: parliamo del marketing (a cui è strettamente legata anche la Customer Care). I Big Data, infatti, permettono di “conoscere” in maniera approfondita il proprio pubblico, anche quando si tratta di platee potenzialmente sterminate e profondamente variegate, come quelle della Sport Industry. Conoscerne le caratteristiche, le attitudini, i comportamenti e dunque prevederne le azioni. Per essere ancora più concreti: avere una “mappa” molto precisa e particolareggiata del proprio target, una mappa, per di più, in costante evoluzione e, di conseguenza, saper “colpire” nel modo giusto questo variegato target, con i giusti tempi, e le giuste azioni.

Tutto questo, in fondo, vale per tutti i comparti. Nel proseguo dell’articolo, però, scenderemo nel particolare, calandoci nello specifico della Sport Industry. Indagheremo il ruolo dei Big Data nel marketing sportivo a partire dalla peculiarità del suo pubblico, parleremo di analisi predittiva e di personalizzazione, spingeremo infine lo sguardo verso le frontiere dei dispositivi wearable.

 

Il punto di partenza: un pubblico sempre più ampio e diversificato

Partiamo da un esempio nazional-popolare: il calcio. Fino a pochi anni fa, la squadra italiana con più tifosi, la Juventus, aveva un bacino di fan costituito principalmente da maschi, italiani o al massimo europei, con poche eccezioni e lo stesso si poteva dire per tutte le altre squadre del campionato italiano. Oggi tutto questo è cambiato e – soprattutto – continuerà a cambiare: sempre più donne seguono il calcio, sempre più persone che vivono fuori dai confini italiani ed europei seguono la Juventus e i suoi campioni (Cristiano Ronaldo, ad esempio, ha 241 milioni di follower…contro gli “appena” 38 milioni del suo team), il bacino si è aperto negli USA e in Asia e i margini sono davvero enormi.

Lo stesso vale per tutti gli sport: il trend della crescita del pubblico femminile è inarrestabile, così come la moltiplicazione degli interessi, senza confini nazionali. Sempre più bambini, inoltre, praticano o seguono lo sport e – contemporaneamente – sempre più persone nelle fasce anziane della popolazione.

Con un pubblico così sterminato e diversificato, i Big Data nel marketing sportivo diventano assolutamente imprescindibili. Avere più informazioni, infatti, significa potersi rivolgere a un gran numero di segmenti di target, con messaggi sempre più su misura, a livello geografico, anagrafico, sociale e – questo è il punto – “personale”.

 

Ma dove si trovano i dati?

La risposta più rapida è: online. Ci rendiamo conto che, detta così, significa tutto e il contrario di tutto.

Big Data sono il frutto più prezioso della Digital Transformation, il nuovo vero patrimonio delle aziende (grandi o piccole), “il nuovo petrolio”, affermano alcuni. Detta nella maniera più semplice, i Big Data sono le tracce che noi tutti disseminiamo online.

Ma, tornando alla domanda iniziale, dove di preciso? Sui motori di ricerca, innanzitutto.

Tracciare queste parole chiave, per le aziende della Sport Industry, è il primo passo per la costruzione di un’ottima strategia SEO, ad esempio. Un ambito ancora più importante? I social network, con i loro 3,6 miliardi di utenti in costante aumento. Non è tutto: ci sono portali e perfino social network incentrati unicamente allo sport, nelle varie sue forme (pensate a Fubles, un social a tutti gli effetti, ma dedicato all’organizzazione di partite di calcetto). C’è poi una quantità quasi incalcolabile di app dedicate allo sport e al fitness. Una nuova frontiera? I dispositivi indossabili, i cosiddetti wearable, su cui torneremo nell’ultimo paragrafo dell’articolo.

Spingiamo il nostro sguardo ancora più a fondo. Qual è la vera utilità, il vero valore che si ricava dal conoscere il più possibile le caratteristiche, le attitudini, i comportamenti e le “storie” dei propri fan, dei propri clienti, dei propri utenti?

Per dirla in maniera semplice e diretta: intuirne le esigenze e predirne i comportamenti futuri. In questo modo i brand possono farsi trovare pronti, e far corrispondere a queste domande delle offerte su misura. Detta in altro modo: intercettare i desideri e le aspettative dei fan e, sulla base di questi, costruire delle azioni mirate di marketing per soddisfarli.

Questo è il cuore del cosiddetto “marketing predittivo”, che sta assumendo un ruolo assolutamente centrale nella Sport Industry.

Si considerino questi dati, relativi agli Stati Uniti d’Amerca: il 97% delle squadre della lega MLB (il campionato di baseball americano) già sfrutta le dinamiche del marketing predittivo e l’80% di quelle di NBA (il campionato di basket americano).

 

Oltre i Big Data c’è la personalizzazione

Vi abbiamo raccontato, finora, quanto siano fondamentali i Big Data nel marketing sportivo. Quanto sia imprescindibile raccogliere più dati possibili, da più fonti possibili, per tracciare il proprio bacino di clienti effettivo e potenziale. Un bacino che, in questo modo, può essere tenuto sotto controllo, e suddiviso in tanti piccoli segmenti, composto di persone – persone, appunto! – dalle caratteristiche e dai comportamenti simili. Questi segmenti sempre più circoscritti costituiscono dunque altrettanti micro-target, da andare a colpire con azioni di marketing (spesso marketing predittivo) mirati ed estremamente efficaci.

Si può fare ancora di più? Si può andare oltre alla segmentazione e stringere il focus sulle singole persone? La risposta è sì ed è la personalizzazione.

Ma di cosa stiamo parlando, nel concreto? Di raccogliere i dati delle singole persone, dei singoli clienti e sulla base di questi, creare delle operazioni customer-oriented, in un’ottica realmente e concretamente one-to-one.

Nike, uno dei principali colossi del settore sportivo, si è accorta ormai da tempo che la personalizzazione è, oggi, la vera svolta per il marketing. E le operazioni che ha messo in pista in questo senso sono ormai molte. Ci sono le app come SKNRS e NikeID, ci sono i programmi Nike+ rivolti ai singoli clienti fidelizzati, c’è stata una campagna specifica per i mondiali di calcio FIFA 2018 (multichannelmerchant.com). Mark Parker, il CEO di Nike, ha recentemente dichiarato che l’obiettivo della sua company è quello di essere “sempre più personale, su vasta scala”. Tradotto: utilizzare i dati per trattare i propri milioni di clienti in tutto il mondo come individui unici. Non a caso, Nike ha acquisito due anni fa Zodiac, una company che si occupa specificamente di Big Data, di analytics e personalizzazione (news.nike.com).

 

I dati, oggi, si indossano… e domani ancora di più

Abbiamo sottolineato poco sopra come Nike stia mettendo la personalizzazione sempre più al centro del proprio business e delle proprie strategie di marketing. Non stupisce sapere, a questo punto, che un altro settore in cui la company sta investendo grandi risorse è quello dei cosiddetti dispositivi wearable. Parliamo di smartwatch, di contapassi, “smarth clothing” e tutta una serie di altri dispositivi indossabili utili per monitorare i propri allenamenti.

I più noti sono i sensori Nike+ per il running, sviluppati insieme ad Apple, che sono adottati oggi già da 7 milioni di appassionati di corsa. Un numero molto importante e in costante crescita. Inoltre, secondo una recente indagine di Statista, le vendite di prodotti “wearable” raggiungeranno i 95 milioni di dollari entro il 2021.

Si capisce come tutto questo si tradurrà in un ulteriore aumento della disponibilità di dati, sempre più personalizzati, e in un rapporto sempre più stretto tra brand ed individui.

Insomma, la vera sfida è tutta qui: allargare la platea dei propri clienti, renderla sempre più diversificata, ma allo stesso tempo saperla analizzare con grande precisione, per rivolgersi ad ognuno secondo le proprie caratteristiche individuali.

 

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