Articolo aggiornato al 07/07/2022

Il settore media in Italia: come sta andando?

Il settore media in Italia ha subito una trasformazione digitale che ha dei caratteri peculiari anche a causa della sua variegata composizione. Ciò che è certo, però, è che anche in questo comparto sono diventati fondamentali i dati e il rapporto sincero con gli utenti.

La trasformazione digitale ha coinvolto diversi settori dell’economia e della società occidentale, modificando in modo irreversibile molte delle abitudini e dei comportamenti degli individui, oltre che la struttura e il focus di molti business. Basti pensare al segmento finance, ma anche al banking, al food e all’hospitality: in tutti questi ambiti la trasformazione digitale ha cambiato radicalmente sia la tipologia di servizi offerti che le aspettative degli stessi consumatori/utenti.

Questi cambiamenti, pur avendo offerto diverse opportunità di crescita in termini di business e di audience raggiungibile, hanno talvolta avuto un effetto dirompente, mettendo in grossa difficoltà alcuni dei player più tradizionali. È il caso, ad esempio, delle aziende di telecomunicazioni che con l’incipiente digitalizzazione hanno visto la loro area di mercato “rosicchiata” da nuovi soggetti, che hanno sfruttato gli strumenti offerti dalla trasformazione digitale per creare nuovi modelli di business, aggressivi ed innovativi, che hanno permesso loro di sottrarre un grande numero di clienti alle Telco principali.

 

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Tra tutti i settori elencati ne manca uno, per certi aspetti molto particolare, che ha a sua volta “subito” la trasformazione digitale anche in modo un po’ diverso dagli altri. Il settore in questione è quello dei media e intrattenimento. Anche questo, come gli altri, porta al suo interno i segni di una trasformazione digitale che ne ha cambiato radicalmente le caratteristiche e i paradigmi produttivi.

Tuttavia è bene sottolineare che tale trasformazione ha avuto, nel contesto dei media e dell’intrattenimento, dei caratteri decisamente peculiari, in modo particolare in Italia. Questo perché, a ben vedere, il settore media in Italia  è molto variegato e raccoglie al suo interno tanti segmenti diversi, caratterizzati da elementi specifici anche molto distanti tra di loro. Di conseguenza, ognuno di questi segmenti ha reagito in modo diverso alla trasformazione digitale, riuscendo talvolta ad integrare perfettamente le nuove soluzioni tecnologiche e, in altri casi, soffrendo l’innovazione digitale.

Se si osservano i dati generali relativi a ciascun ambito di questo settore è possibile da un lato capire lo “stato dell’arte” dei media italiani, e dall’altro prevedere i trend futuri.

Tra alti e bassi: i numeri del settore media in Italia

Qual è, dunque, lo stato di salute del settore media in Italia?

In generale, almeno da quanto emerge dal report di PwC Entertainment & Media Outlook per il quinquennio 2019-2023, il settore E&M ha continuato a crescere dal 2014 fino al 2020 con un tasso costante, il che fa ritenere che tale andamento venga riconfermato anche per i prossimi anni, fino almeno al 2023, attestandosi attorno ad una crescita del 4,3% anno dopo anno. Dunque, di per sé, tale settore sembra non aver sofferto la trasformazione digitale. A questo si aggiunga che tale tasso di crescita appare diffuso tra tutti i diversi segmenti del comparto, con dei picchi notevoli come è, ad esempio, la realtà aumentata che ha segnato un impressionante più 22%, ma anche gli OTT, che per crescita si posizionano al secondo posto grazie ad un CAGR del 13,8%.

Anche alcuni degli ambiti più tradizionali hanno in realtà mostrato dei segnali positivi in questi anni, dimostrando una buona capacità di adattamento alle ultime trasformazioni digitali. Ad esempio, il cinema nel 2018 ha totalizzato un ammontare di ricavi pari a 615 milioni di euro e si prevede che da qui al 2023 si mantenga su un tasso di crescita di circa il 4%. O ancora, il segmento dei libri si mostra sorprendentemente in positivo riuscendo a totalizzare un tasso di crescita prevista del +0,2%, anche grazie al fatto che gli ebook sono sbarcati in Italia da diversi anni e sono diventati uno strumento di fruizione editoriale capace di dare una spinta all’intero segmento, pur rimanendo nel nostro Paese ancora un supporto “minoritario” rispetto che altrove.

Quanto sopra descritto rappresenta già una delle principali peculiarità del settore che rispetto agli altri ha mostrato una maggiore capacità di integrare le nuove soluzioni che anzi hanno contribuito a far crescere e sviluppare ulteriormente il business.

D’altro canto è ovvio che non tutti i segmenti del settore E&M hanno reagito alla stessa maniera o hanno fatto registrare le stesse tendenze positive. Ad esempio, si è parlato dei libri e degli ebook: tuttavia questo è l’unico scomparto che ha mostrato una crescita nel contesto dell’editoria. Al contrario, quotidiani e periodici continuano il loro lento declino. Tra l’altro, tale fenomeno appare più marcato per i titoli nazionali rispetto a quelli locali, per i quali la specificità delle informazioni rimarrà un traino importante per il consumatore.

E se i motivi di questa crisi non sono da ricercarsi nella trasformazione digitale, quest’ultima ha certamente aggravato una situazione già precaria.

Con l’arrivo di Facebook e la penetrazione di internet, buona parte dei lettori ha, infatti, smesso di informarsi attraverso i giornali e le testate più autorevoli, sostituendoli con i social network o siti e blog che si trovano in rete. Chiaramente questo ha “drenato” tutti gli sponsor che si sono diretti verso media molto più convenienti ed efficaci in termini di impression, facendo così crollare il costo degli spazi pubblicitari della carta stampata. Del resto, se si pensa che secondo eMarketer Facebook e Google hanno raccolto insieme, tra il 2016 e il 2019, il 50% della pubblicità mondiale e più del 60% negli Stati Uniti è facile comprendere perché molti quotidiani siano andati in crisi con l’avvento della trasformazione digitale.

A ben vedere, il segmento dei quotidiani e dei periodici ha avuto un andamento “più tradizionale”, condiviso in un certo qual modo con molti altri settori che sono stati citati sopra, i quali sono stati messi in difficoltà dalle trasformazioni digitali.

Tuttavia è bene notare che spesso proprio in queste trasformazioni digitali sono state trovate le chiavi per affrontare la crisi e per rilanciare l’intero business. Molti market leader del settore, infatti, hanno iniziato ad investire nella costituzione di vere e proprie redazioni online, passando dal cartaceo al digitale.

Non solo. Le principali testate straniere hanno anche preso una decisione coraggiosa, realizzando improvvisamente che “stare in rete” non significa regalare o abbassare il livello e la qualità dei propri contenuti. Per questo, testate come il New York Times, il Boston Globe e il Washington Post hanno deciso di ridurre il perimetro del loro paywall verso un numero minore di articoli disponibili gratuitamente. Una scelta così coraggiosa, e solo apparentemente controintuitiva, ha portato i suoi frutti, confermando quello che si diceva sopra, cioè che spesso la digitalizzazione non è solo la causa ma è anche e soprattutto la soluzione a diverse criticità di settore.

A seguito, infatti, della trasformazione digitale dei propri contenuti e alla riduzione degli accessi gratuiti, i giornali sopracitati hanno registrato un aumento dei clienti abbonati al modello digital only che ha raggiunto i 2,5 milioni di utenti, cosa che ha portato ad una crescita dei ricavi totali, raggiungendo 1,68 miliardi di dollari contro i 1.56 miliardi di dollari dell’anno precedente.

La televisione è sempre la televisione…

E la televisione, invece, come ha reagito alla trasformazione digitale?

A ben vedere la televisione è il media che tra tutti presenta la situazione più articolata e complessa da analizzare – e forse proprio per questo può essere presa come segmento esemplare di tutto il settore. È innegabile, infatti, che la televisione rappresenti ancora un media molto rilevante, specialmente nel nostro Paese, sia in termini di audience che di ricavi generati.

Basti pensare che secondo le stime del Censis risalenti a fine 2018, oltre il 90% delle famiglie intervistate (circa 20 mila) ha dichiarato di possedere almeno un apparecchio televisivo, contro il 22,1% che affermava di possedere un pc desktop, il 48,1% un portatile e il 26,4% un tablet.m Per quanto riguarda poi la frequenza di utilizzo, circa l’86% degli intervistati ha confermato di guardare la televisione almeno una volta al giorno e complessivamente oltre il 60% di coloro che hanno partecipato al sondaggio hanno affermato di guardare la Rai quotidianamente.

Dall’altro lato, è chiaro che l’attrattività degli investimenti e il livello dei ricavi generabili attraverso la pubblicità è attualmente molto distante rispetto anche solo alle cifre di 10 anni fa, dal momento che, sempre secondo le proiezioni di PwC, il CAGR ipotizzato tra il 2018 e il 2023 è del -0,7%, quindi poco sotto la stabilità. Allo stesso modo, anche la pay-TV ha registrato una sostanziale frenata nonostante gli importanti investimenti di questi anni, totalizzando un indice di crescita negativo, pari all’1,9%.

Questo perché la trasformazione digitale ha introdotto nel mercato dei competitor molto aggressivi, che in un certo senso stanno modificando le regole del gioco.

…almeno fin quando non arriva Netflix 

La riduzione dei ricavi e il rallentamento della crescita di questo specifico segmento dell’E&M è, infatti, legato anche all’arrivo di nuovi player, come Netflix, Amazon Prime Video, Disney Plus ed altri, che hanno aumentato l’offerta di canali e contenuti fruibili, sottraendoli di conseguenza ai media televisivi tradizionali.

Netflix ha aumentato il proprio vantaggio su Amazon Prime Video, assestandosi al 30% del totale dell’utilizzo in Italia, mentre la più diretta concorrente rimane ferma al 27%. Dopo un periodo abbastanza positivo, Disney+ arretra sorprendentemente al 15% delle preferenze, conservando comunque la terza posizione di questa speciale classifica. Stabile al quarto posto c’è Tim Vision, che mantiene il 6% su cui si era assestata negli ultimi mesi del 2021. Piccolo calo invece per NOW: la piattaforma streaming targata Sky scende invece dal 6% al 5% delle quote.

Un passo in avanti lo fa invece la stessa Sky, che attraverso i servizi on demand e Sky Go passa al 4% del totale, in leggero aumento rispetto al 3% della rilevazione precedente. A chiudere le prime posizioni per utilizzo delle piattaforme streaming in Italia è Infinity, servizio di proprietà Mediaset che vede ridurre la sua quota di diffusione dal 3% al 2% del totale (fonte: Just Watch)..

Ma l’impatto di questi nuovi soggetti non è solo quantitativo, ma è anche qualitativo. Molti esperti del settore, infatti, sottolineano che la trasformazione digitale sta cambiando in modo sostanziale i modelli di business vincenti e la modalità con cui le aziende dovrebbero fornire i propri servizi.

Adesso è l’utente a (tele)comandare

È evidente, infatti, che l’intero settore Intrattenimento e Media sta vivendo una fase di “convergenza 3.0”, che sta portando le diverse aziende operanti in segmenti diversi dello stesso settore ad adottare un approccio al proprio business che ponga l’utente al centro di tutto. In questo senso, non è un caso che Netflix e altre piattaforme del genere la facciano da padroni, almeno al momento.

Ciò che chiedono i consumatori, infatti, è la possibilità di costruire da soli il proprio palinsesto, cosa che, in altre parole, significa essere liberi di stabilire in piena autonomia le caratteristiche e i contenuti del servizio che andranno a fruire. Netflix ed altri glielo permettono e questo li premia sul mercato.

Proprio alla luce di questa rinnovata importanza dell’utente è diventato essenziale per ogni azienda del comparto E&M stringere un rapporto duraturo di fiducia con gli utenti in modo da migliorare lo scambio di valore e promuovere nello stesso tempo la trasparenza.

Per fare questo è necessario prestare attenzione alla customer experience degli utenti che deve essere soddisfacente non solo per ciò che attiene il contenuto, ma anche per quanto riguarda le modalità con cui viene reso disponibile. In questo senso, i Big Data diventano fondamentali per tutti i player di questo settore, perché è solo attraverso i dati che si può capire esattamente cosa si aspettano i consumatori e costruire la propria offerta di conseguenza.

Personalizzazione, dati, Customer experience e mobile

Sono, dunque, queste i tre concetti chiave intorno a cui dovranno concentrarsi le aziende impegnate nel settore Intrattenimento e Media per poter continuare a crescere nei prossimi anni. Forse però ne manca una, che è mobile.

Ormai la fruizione dei contenuti video avviene molto spesso da un device mobile, che funziona da sostituto della televisione, ma anche della radio e dei libri. Questo significa che ogni tipo di ragionamento strategico dovrà tenere a mente questo. Ogni contenuto dovrà essere a portata di mano, più piccolo, più leggero, più comodo. E anche questo aspetto, se correttamente approcciato, può diventare un’opportunità notevole perché permetterebbe, soprattutto a chi fa televisione o radio, di raggiungere gli utenti in momenti fino ad adesso poco presidiati.

Paradossalmente, il piccolo schermo può trovare un alleato in uno schermo ancora più piccolo un prezioso alleato. Basti pensare, ad esempio, al fenomeno dei podcast, che permettono agli utenti di accedere ai contenuti che vogliono quando vogliono, uscendo dalla logica della diretta, fruibile solo qui ed ora.

Come sempre la trasformazione digitale si mostra per quello che è: un cambiamento totale di paradigma, né positivo né negativo a priori. Sta a chi ci si trova in mezzo interpretarla nel modo migliore, sfruttandone ciò che c’è di buono per tracciare una via diversa in un nuovo campo di gioco.