Digital marketing e settore fashion: la pandemia ha dato luogo a una crisi sanitaria senza precedenti e ha imposto nuovi e stringenti vincoli di sicurezza con cui anche le aziende nel settore del fashion sono chiamate a misurarsi. Tra queste, quelle che stanno scoprendo di essere meglio attrezzate lo devono in gran parte al loro know-how digitale che è risultato e risulterà determinante non solo per garantire una continuità e ridurre al minimo le conseguenze del lockdown, ma anche per emergere dalla crisi in una posizione di forza.

 

Il digital marketing nel settore fashion: una opportunità per re-immaginare i processi aziendali

“Alcune aziende nel settore fashion non sopravviveranno all’attuale crisi; altre emergeranno, meglio posizionate per il futuro. Molto dipenderà dalle loro capacità digitali e di analisi.”

Un’affermazione forte, quella con cui si apre l’articolo di McKinsey pubblicato questo 6 maggio, che fin dal titolo decisamente tranchant, Fashion’s digital transformation: Now or never, ribadisce un concetto di digital darwinism che era stato già applicato ai mercati della moda e del lusso, prima che il COVID-19 imponesse nuove urgenze e trasformasse radicalmente le dinamiche in gioco (mckinsey.com).

Nell’articolo citato, in continuità con il paper, il digital viene definito come realtà ormai consolidata, da mettere a valore per far crescere la brand equity, sia dal punto di vista finanziario (il marchio come asset patrimoniale) sia dal punto di vista del marketing (il marchio come racconto). Ancor di più di quanto accadeva prima dell’emergenza, in un contesto di consumo irrimediabilmente trasformato dalle nuove misure di distanziamento sociale e sanificazione obbligatoria, il digital si dimostrerà ancora più efficace nel re-immaginare i processi aziendali, non soltanto per motivi legati alla contingenza ma piuttosto per i vantaggi che derivano dalle sue caratteristiche costitutive: connettività, rapidità, accuratezza, flessibilità, dialogicità.

Il digital marketing, oggi più che mai, intensifica tendenze già in atto:

  • rappresenta una via di accesso preferenziale ai dati, che possono essere usati per creare, da remoto, un rapporto di vicinanza ancora più intimo e personale con i clienti,
  • permette di individuare in modo più preciso le preferenze emergenti di eventuali prospect,
  • semplifica il processo di trasformazione delle idee in nuovi prodotti, investendo risorse che sono prima di tutto creative

 

Perché questo è il momento giusto per dare priorità alle leve del marketing digitale

Il lockdown sembra aver impresso un’accelerazione poderosa all’adozione di pratiche di acquisto online: secondo i dati rilasciati nel corso del Netcomm FORUM live 2020 (agi.it), la Fiera dedicata al commercio digitale e al new retail, i nuovi consumatori online in Italia dall’inizio dell’anno sono 2 milioni, di cui 1,3 arrivati alle piattaforme di acquisto digitale proprio durante l’emergenza sanitaria del COVID-19. Fino a febbraio 2020 i nostri connazionali che usavano attivamente l’e-commerce erano 27 milioni, oggi sono 29. Nel 2019, da gennaio a maggio, i nuovi consumatori digitali erano stati 700 mila: nei primi 5 mesi del 2020 il loro numero è quasi triplicato.

Il commercio sul web, sempre secondo il consorzio Netcomm, continuerà a crescere nei prossimi mesi, affermandosi come un driver eccezionale nel contesto dell’economia mondiale, con un aumento stimato del 55%.

Destinare ai canali digitali, da subito, una parte più sostanziosa del budget riservato al marketing, aumentandone la visibilità all’interno dell’organizzazione, può allora rivelarsi una mossa vincente che consentirebbe di ottenere una serie di obiettivi:

  • realizzare una visione pienamente multicanale dell’e-commerce,
  • ottenere una gestione puntuale e attenta delle relazioni con i clienti attraverso i social media,
  • ridefinire le logiche di profilazione sulla base dei comportamenti emersi durante la crisi,
  • condurre attività più strutturate di “ascolto” per informare lo sviluppo di nuovi servizi e offerte.

In un periodo complesso come quello che stiamo attraversando il marketing digitale offre una serie di possibilità, legate a strumenti, tecniche e metodologie, con cui accrescere reattività, resilienza e proattività dei marchi delle moda: sono fattori di successo che invece di riemergere appannati o depotenziati dal lockdown possono giocare un ruolo importante nella ricostruzione.

 

Fattori di successo e opportunità del digital marketing per il settore fashion

In un suo recente report (bcg.com), il gigante della consulenza strategica Boston Consulting Group ha analizzato i brand che nel corso del 2019  hanno registrato i maggiori successi, sia in termini di risultati economici sia per capacità di instaurare una relazione duratura con i loro consumatori, e ha individuato le tre dimensioni del digital marketing su cui questi brand sono vincenti:

  1. Analisi sull’allocazione del budget, attribuzione e misurazione dell’impatto;
  2. Targeting e personalizzazione;
  3. Produzione di asset e strategia di contenuto.

Da questo studio emergono inoltre alcune best practice che mostrano come alcune iniziative, più di altre – dall’uso di tecniche di attribuzione dinamica alla creazione di contenuti generati da utenti e influencer – possono contribuire ad aumentare la competitività dei brand fashion.

 

Attribuzione, allocazione del budget e misurazione dell’impatto

  1. Tecniche di attribuzione. Impiegare tecniche di attribuzione dinamica per distribuire il budget su diversi media, ottimizzandone l’allocazione lungo l’intero percorso del cliente. Si tratta quindi di adattare dinamicamente il media mix durante le campagne di lancio e le diverse fasi del ciclo di vita del prodotto, utilizzando le tecniche più appropriate per ciascuno di essi: dalla sensibilizzazione attraverso sponsorizzazioni alla promozione dell’impegno dei consumatori utilizzando i social media con iniziative tipicamente di performance marketing.

 

  1. Analisi predittiva. Utilizzata in un’ottica di ottimizzazione, l’analisi predittiva estrae dai precedenti comportamenti di acquisto dei clienti le loro opinioni in termini di prezzo, prodotto, promozione e posizione. L’obiettivo è quello di segmentare i lead, personalizzare la distribuzione dei contenuti e ottimizzare le campagne di marketing in base al tasso di abbandono previsto, al potenziale di cross-selling e di upselling, all’adattamento del prodotto alla vita dei clienti.

 

  1. Dati cross-channel. Incrociare i dati dei clienti online e offline riuscire a raggiungerli, ovunque si trovino, in qualsiasi momento. I marchi di moda possono sviluppare una visione completa dei propri clienti utilizzando tecniche avanzate di acquisizione dati; le informazioni includono tutto, dagli acquisti passati agli indumenti che un cliente ha provato, ai dati dei tag RFID, alla localizzazione attraverso app. Gli addetti alle vendite possono utilizzare questi profili per rendere più rilevanti i loro suggerimenti d’acquisto.

 

Targeting e personalizzazione

  1. Targeting per pubblico. Utilizzare audience-driven advertising: una combinazione di dati proprietari e di terze parti per creare annunci per segmenti di pubblico specifici, come quelli basati sul reddito o sull’età, integrati da targeting contestuale (annunci generati secondo gli specifici canali o gli stage nel percorso di acquisto del cliente) e al targeting geografico (annunci generati in base alla posizione del cliente).

 

  1. First-party data. Oltre l’80% dei marketer utilizza dati proprietari, in particolare dati in tempo reale o quasi, che possono essere usati per segmentare pubblici specifici (e spesso ristretti).

 

  1. Marketing digitale personalizzato. Uso esteso delle tecniche di personalizzazione, attraverso l’impiego di motori di raccomandazione per la creazione di contenuti (i recommendation system sono strumenti per il filtraggio di informazioni concepiti per personalizzare i contenuti in funzione di un particolare utente, a partire da un set di informazioni relativo alla storia di quell’utente), esperienza utente e servizi come siti Web adattivi e la convergenza di canali online e offline.

I fashion brand devono personalizzare le loro comunicazioni con i clienti, attraverso tutti i canali, offline e online. Ogni esperienza del singolo utente deve essere adattata al suo profilo, alla sua posizione e alla sua cronologia di navigazione e di acquisto. Concentrandosi su tre applicazioni: e-mail personalizzate (utilizzando un motore di raccomandazione), pagine Web adattive (utilizzando pagine di destinazione interattive) e social media (utilizzando annunci personalizzati).

 

Produzione di beni e marketing dei contenuti

Partiamo da una verità che difficilmente può essere contraddetta: il miglior marketing digitale è quello che investe di più sullo sviluppo di contenuti di qualità.

  1. Contenuti generati dall’utente e dagli influencer. Perché il loro impatto possa essere massimizzato i contenuti creati da utenti e influencer, dai video ripresi agli eventi alle foto più informali scattate nel corso della giornata, alle pubbliche relazioni online, devono essere ottimizzati e distribuiti per più canali (Instagram, YouTube, blog di moda e altri social media) sia dagli utenti sia dagli stessi influencer.

 

  1. Maggiore spesa per i contenuti in-house. I brand tendono a farsi carico della creazione di contenuti, spendendo quasi il 60% dell’importo assegnato a questa funzione per la produzione interna, rispetto a solo il 25% per i contenuti creati con le agenzie di comunicazione. Alcuni marchi nativi digitali hanno scelto ancora un’altra strada: produrre contenuti a basso costo (ma di alta qualità) come video di backstage da servizi di moda o impianti di produzione.

 

  1. Una rete di risorse creative. Per creare, gestire e distribuire contenuti, i leader del marketing digitale utilizzano gli strumenti della data science in combinazione con librerie modulari di risorse creative. Le campagne vengono ottimizzate su piattaforme e dispositivi utilizzando l’analisi dei contenuti e strumenti di marketing automatizzati, come banner pubblicitari dinamici.

 

 

Le opportunità digitali per il digital marketing del settore fashion

Appena dopo l’ultima edizione della fashion week milanese, prima, quindi, che il COVID-19 ridisegnasse le strategie di vendita del mercato della moda, ninjamarketing tracciava una panoramica delle sfide (e delle opportunità) che il digital marketing presentava al settore del fashion, “partendo dall’eCommerce, passando dall’integrazione con i nuovi media fino ad arrivare all’utilizzo dei dati per creare esperienze pubblicitarie e di vendita multicanali sempre più personalizzate”.

  1. Il canale eCommerce. Per riuscire a sfruttarne le potenzialità è necessario cominciare a considerarlo come un canale differente e parallelo, con una sua autonomia e identità precise, che viaggia quindi su piattaforme e con dinamiche peculiari, non semplicemente complementari.

 

  1. Il fattore omnichannel. Anche se le logiche (e la libertà) di acquisto in luoghi fisici sono state sconvolte dalla pandemia e dal lockdown dobbiamo ancora parlare di omnicanalità, poiché i brand hanno bisogno di presidiare sia la vita digitale dei consumatori sia quella fisica.

 

  1. Non solo digital, ma strategie integrate. L’integrazione dei diversi format promozionali in un sistema di comunicazione unitario e coerente non è più una questione di se ma di come: i consumatori nel settore del fashion e del lusso si aspettano esperienze d’acquisto totali, pienamente conversazionali, personalizzate.

 

Come il digital marketing può aumentare la redditività di un’azienda del fashion market

Il digital marketing nel settore fashion, integrato in un più ampio piano di comunicazione, può aumentare le entrate per i brand del fashion fino al 15% (è ancora il Boston Consulting Group ad affermarlo).

In particolare, il marketing digitale consente di:

  • armonizzare i contenuti del brand su tutti i canali
  • operare una sintesi dei dati provenienti dalle diverse aree dell’organizzazione, che possono poi essere immessi nei processi della marketing automation. Grazie alle tecniche di acquisizione, interpretazione e modellizzazione dei dati (tipiche di un marketing data-driven), i brand possono oggi muoversi con decisione verso strategie sempre più customer-centric utilizzando il dato e la tecnologia per creare messaggi sempre più segmentati e mirati, riducendo i tempi di risposta ai trend e alle richieste del mercato, e offrendo un prezioso supporto ai decision maker, che possono così basare le loro strategie su dati oggettivi, migliorando i risultati in termini di CPM ma soprattutto di ROI;
  • usare al meglio i modelli analitici per l’attribuzione e l’allocazione del budget;
  • creare un profilo unico di ciascun cliente che consenta di definire il modo in cui reagisce o interagisce con le singole iniziative di marketing;
  • quantificare il valore di ogni momento di marketing collegandolo alle vendite successive e misurandolo rispetto a risultati aziendali concreti.

I marchi hanno anche bisogno di talenti formati verticalmente sul marketing digitale, persone dotate di competenze specifiche come specialisti di acquisti programmatici, data scientist e content manager. Devono anche cambiare le loro routine lavorative, promuovendo una cultura più agile, con team interfunzionali che sappiano mettere in comune le rispettive best practice. E devono garantire che tali competenze e modalità di lavoro digitali si estendano oltre l’azienda, ai partner di agenzia e agli altri partecipanti del loro ecosistema di talenti (ninjamarketing.it).

Questa maggiore attenzione nella ricerca e selezione dei talenti è una diretta conseguenza dell’ingresso sul mercato del fashion di nuove categorie di consumatori, nativi digitali, critici, sfuggenti: le generazioni Y e Z per cui i brand stanno progettando strategie di targeting ad hoc. Raggiungere i consumatori più giovani risponde, evidentemente, a ragioni economiche ma anche etiche e valoriali: riuscire a contrastare il fenomeno del fast fashion, contro cui si esprimono sempre di più le voci critiche e autorevoli dei protagonisti del settore (tra gli ultimi anche Giorgio Armani) e integrare il loro punto di vista nei processi di creazione dei prodotti.

 

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