La brand awareness, da anni buzzword per eccellenza di marketers ed esperti di comunicazione, ha una definizione che potremmo dire stratificata: esprime infatti un concetto che nel tempo è stato ampliato e rivisto, e che è stato via via adattato per riuscire a descrivere i cambiamenti di un mercato (e di un consumatore) in costante evoluzione. A tal proposito, abbiamo parlato delle 5 strategie di marketing da non ignorare nel 2022

In questo articolo vedremo come, a partire da requisiti minimi di familiarità e riconoscibilità, la definizione di brand awareness si sia progressivamente articolata così da riflettere la crescente complessità delle dinamiche brand-consumatore in un contesto, come quello attuale, caratterizzato dalla digitalizzazione di massa. 

Passando attraverso nozioni correlate ma significativamente differenti quali quella di “brand equity e di “branding”, proveremo a raccontare come una azienda può oggi costruire “consapevolezza di sé”, presentandosi sul mercato con una identità chiara e coerente e offrendosi al suo pubblico nella duplice veste di interlocutore e compagno di viaggio.

 

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Brand awareness: una definizione articolata e in continua evoluzione

Secondo Hubspot, la brand awareness esprime il grado di familiarità del pubblico di destinazione rispetto a un brand. Si riferisce quindi alla probabilità che i clienti (o potenziali clienti) ricordino o riconoscano il marchio, o anche, semplicemente, che sappiano che quel marchio esiste.

La brand awareness è la consapevolezza su un certo marchio, che si attiva, in modo più o meno immediato, quando sentiamo nominare un brand, lo vediamo rappresentato attraverso le forme che ne definiscono l’identità visiva (prima di tutto con il logo) o lo identifichiamo come autore e mittente di un determinato sistema di messaggi.

Una definizione lineare, comprensibile, letterale quasi. Facile no? Beh, no. Per lo meno non sempre e non del tutto. La brand awareness è un concetto talmente pervasivo che si merita di essere approfondito. Tra i tanti contributi che in ambito accademico o professionale hanno dato il loro apporto per arricchire e rendere attuale la definizione di brand awareness abbiamo scelto di soffermarci su due in particolare, quello di Kevin Keller e quello di David Aaker, perché inseriscono, forse meglio di altri, la consapevolezza del marchio all’interno di una complessiva strategia di marketing. 

 

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Brand awareness: la definizione di Kevin Keller come sintesi tra memoria e riconoscimento

In Strategic Brand Management Kevin Lane Keller descrive la brand awareness come sintesi di due aspetti fondamentali:

  1. La memoria del brand (brand recall), che indica sia la capacità del marchio di essere richiamato dai nostri ricordi se ci viene fornito uno spunto o un incipit, sia la facilità con cui associamo il marchio a una data categoria di prodotto, a un precedente acquisto o a una certa modalità di utilizzo. Ad esempio, il brand recall di una particolare marca di detersivo per lavatrice – e solo di quella – dipenderà dalla capacità di quel detersivo di tornarci in mente con un’associazione “automatica”, per esempio nell’attimo esatto in cui ci sporchiamo oppure ogni qual volta pensiamo alla nostra cesta traboccante di panni sporchi. 
  2. Il riconoscimento del brand (brand recognition), indica la nostra capacità di confermare la conoscenza di un determinato marchio quando entriamo in contatto con il marchio stesso. In pratica, il riconoscimento scatterebbe ogni volta che entriamo in un supermercato e riusciamo ad associare una certa marca di detersivo a quella con cui siamo già entrati in contatto.

Memoria del brand e riconoscimento del brand costituiscono due aspetti cruciali nella definizione di brand awareness ma non ne esauriscono tutte le implicazioni. Per avere un’idea più compiuta proviamo ad aggiungere alle nostra riflessione i concetti di brand equity e di branding.

La definizione di brand awareness secondo David Aaker: un momento costitutivo della brand equity

David Aaker (2014) – considerato da Philip Kotler il “padre del moderno branding” – nel suo libro Aaker on Brandinguna definizione multidimensionale di brand, proiettandolo ben oltre l’associazione tra nome e logo e identificandolo con quella specifica proposta che ogni organizzazione fa al suo target di destinazione: in cambio di una quantità “ragionevole” delle risorse del cliente – risorse quali attenzione, tempo, denaro e, nel migliore dei casi, fiducia – il brand si impegna a mantenere le promesse fatte in fase di offerta, in termini di benefici funzionali ma anche emotivi, espressivi e sociali

La brand awareness secondo Aaker è uno dei passaggi necessari per costruire la brand equity, concetto vasto e totalizzante che ricomprende, precisandolo, quello di brand awareness e fissa in una sorta di fotografia del destino del marchio, il risultato finale del processo di branding. Ma andiamo con ordine. Che cosa significa “brand equity”? Che cosa vuol dire “branding”?

  • La brand equity si riferisce al valore percepito del marchio da parte dei suoi clienti. È una combinazione di sensazione, esperienza e opinioni. La brand equity può essere positiva o negativa, in base al giudizio che i clienti maturano rispetto all’insieme delle modalità di rappresentazione, espressione e fruizione praticate dal marchio. Questo giudizio non rimane confinato su un piano ideale ma ha una ricaduta immediata sulla realtà d’uso dei consumatori e quindi sulle conversioni e sulle vendite.
  • Il branding è l’intero processo che dà significato a un’organizzazione, a un’azienda e a un prodotto o servizio. È l’insieme delle azioni – dirette e indirette – che creano e plasmano l’immagine mentale che i consumatori hanno del marchio. È dunque una strategia ideata e dispiegata per aiutare le persone a identificare e sperimentare rapidamente il marchio, che mira a formulare un motivo concreto che spinga alla scelta di certi prodotti o servizi, superando la concorrenza, chiarendo innanzitutto che cosa è – e che cosa non è – il marchio stesso. L’obiettivo del processo di branding è attrarre e fidelizzare clienti e stakeholder, offrendo loro un prodotto che sia sempre in linea con ciò che il marchio promette. Parafrasando le parole di due mostri sacri del marketing: il branding è l’insieme delle azioni attraverso le quali prodotti e servizi sono investiti del potere di un marchio (Kotler & Keller, 2015).

Secondo David Aaker un’azienda costruisce la sua brand equity affrontando tre percorsi in qualche modo paralleli che mirano allo sviluppo rispettivamente della brand loyalty, della brand awareness e delle brand associations. Questi percorsi – che corrispondono ad altrettanti insiemi di azioni tattiche – trasformano il branding in un racconto con più alternative, in cui la posta in gioco non si esaurisce nel posizionamento del marchio ma si allarga fino a comprendere l’influenza esercitata sulle decisioni di acquisto dei consumatori. 

La brand awareness gioca un ruolo cruciale nel processo decisionale dei clienti perché: 

  • rende il marchio visibile e ne facilita il riconoscimento; 
  • produce un senso di familiarità che crea a sua volta coinvolgimento;
  • prepara il cliente in vista della fase di consideration.

Per tutti questi motivi – perché contribuisce a costruire brand equity, trasformando il potenziale di un’azienda in valore reale – la brand awareness è spesso uno degli obiettivi principali delle iniziative progettate dai marketer, sia che si parli genericamente di campagne di marketing digitale sia che ci si riferisca al Real Time marketing

Brand awareness e strategie di marketing in tempo di crisi: la definizione cambia ancora

In un suo recente articolo, Imran Hirani (VP Strategic Accounts di Nielsen) fa notare come, durante la pandemia e nei periodi immediatamente successivi alle riaperture, le aziende abbiano concentrato i loro sforzi di marketing, mediamente, più sul mantenimento dei clienti esistenti che sull’acquisizione di nuovi. Questo tipo di approccio – focalizzato sulla parte bassa del funnel – è tipico di periodi storici (e mercati) caratterizzati da grande incertezza. L’investimento maggiore è in questo caso indirizzato a spingere i consumatori verso conversioni e acquisti, così da poter contare su un più sicuro ritorno sull’investimento a breve termine.

Pur ammettendo che destinare tempo e risorse soprattutto ad azioni di consideration e decision sia ancora oggi una tendenza molto comune tra le aziende, Hirani afferma che rinunciare a investire sulla parte superiore del funnel (e quindi sulle attività di brand awareness) potrebbe facilmente finire per rivelarsi una scelta miope, poco lungimirante e insostenibile sul lungo termine. Secondo lui, i marketer dovrebbero invece imparare a ricalibrare le loro tattiche, così da riuscire a progettare una strategia di marketing equilibrata in cui gli sforzi di costruzione del marchio siano perfettamente bilanciati tra parte superiore del funnel (brand awareness) e parte media e inferiore (consideration e decision).

La definizione di brand awareness si complica ulteriormente, diventa ancora più ampia, si “allunga”, potremmo dire, su tutto il funnel. Le aziende provano così a espandere la loro presenza digitale, intercettando i consumatori in diversi momenti del loro viaggio e attraverso differenti canali e touchpoint

Una strategia di marketing equilibrata, in cui questa brand awareness così ricca possa dispiegarsi pienamente, può essere attivata sostanzialmente in due modi: considerando il percorso del cliente dall’inizio alla fine e creando i contenuti più adatti per rendere la customer experience davvero rilevante.  

1. Investi per creare consapevolezza lungo tutto il percorso del cliente 

Se il punto è che un consumatore non può interagire con un brand se non ne ha mai sentito parlare, le iniziative di brand awareness sono essenziali per far diventare un’organizzazione visibile, riconoscibile e notiziabile. La questione è di primaria importanza non solo dal punto di vista comunicativo: creare consapevolezza del marchio è necessario per impostare in modo razionale le pipeline per le vendite future. Poter contare su un audience qualificato dà infatti un enorme contributo per far sì che gli sforzi nella parte inferiore dei funnel vadano a buon fine. 

I brand che si propongono il mantenimento dei risultati raggiunti piuttosto che la crescita non possono trascurare il fatto che anche i clienti acquisiti hanno comunque bisogno di buoni motivi per tornare, soprattutto se pensiamo che i mercati oggi sono sempre più affollati e competitivi. In questo senso le azioni di brand awareness continuano a giocare un ruolo importantissimo: coltivare la memoria del brand può fare la differenza, anche nel caso in cui, legittimamente, si intenda mantenere il focus sul rafforzamento di relazioni già esistenti e l’impegno sia più intenso su consideration e decision.

2. Aumenta la consapevolezza con la giusta content strategy 

I consumatori imparano a conoscere un marchio, acquistano maggior fiducia e tendono a confermare nel tempo il rapporto con il brand se i messaggi di marca risuonano con la loro sensibilità, sono coerenti con i loro sistemi di valore ed entrano a far parte dell’immaginario comune, partecipando nel migliore dei casi alla sua costruzione. In altre parole la brand awareness aumenta se i contenuti prodotti dal brand sono significativi e rilevanti per il target di destinazione

Va da sé che per aumentare la brand awareness è indispensabile sviluppare una content strategy che sia coerente rispetto alle esigenze, i desideri e i problemi dell’audience di riferimento ed efficace nel raggiungere ciascun consumatore nel momento e nel luogo più adatti

Il content marketing consiste nel creare e condividere dei contenuti che sappiano prima di tutto catturare l’attenzione: un contenuto accattivante e di qualità può coinvolgere un utente e fare in modo che si ricordi positivamente del brand. Che si tratti di un blog post, un video o un’infografica, i contenuti aiutano ad aumentare la percezione di un brand, consentendogli quindi di posizionarsi in modo preciso e definito sul mercato.

Oggi i contenuti più coinvolgenti coincidono spesso con i contenuti personalizzati che vengono realizzati a partire dalle “tracce digitali” lasciate dagli utenti mentre interagiscono con punti di contatto off line e on line. Sulla base di questi dati – che provengono da una molteplicità di fonti – è possibile per le aziende procedere alla identificazione di profili utente sempre più precisi – in un’ottica di dialogo one-to-one. In questo modo, se motivati da specifiche azioni e grazie all’offerta di contenuti realizzati su misura e percepiti come utili o interessanti, sarà più probabile che i consumatori reagiscano in modo positivo.

In questo articolo abbiamo tentato di dare una definizione di brand awareness che restituisse il suo carattere di strumento metodologico aperto al cambiamento e alla contaminazione. In un contesto fluido come quello in cui viviamo il concetto di brand awareness potrà continuare ad avere una sua validità teorica e un suo significato operativo solo se riuscirà a tradursi in azioni via via più mirate e personalizzabili, incidendo sulla realtà particolare di ogni singolo consumatore.