Il RegTech è ormai parte trainante del settore del Fintech e può avere un ruolo strategico per le aziende che ne adottano le soluzioni.

Il Regtech è un segmento del settore Fintech che mira ad utilizzare la tecnologia messa a disposizione dalla trasformazione digitale per rendere più ordinato ed efficiente il comparto compliance dell’azienda. La prima a definire il RegTech è stata la Financial Conduct Authority (il cui acronimo è FCA), che è l’ente di controllo principale del mercato finanziario del Regno Unito il quale si occupa della regolamentazione dei broker forex, delle banche e dei consulenti finanziari.

Secondo tale definizione, il RegTech è “un sottoinsieme del Fintech che si concentra su tecnologie che possono facilitare l’erogazione di requisiti normativi in modo più efficiente ed efficace di quanto già succeda”.

Nonostante questo, il vero riconoscimento ufficiale dell’esistenza di tale settore arriva nel 2015 quando Deloitte gli dedica un report dal titolo “RegTech is the new Fintech – How agile regulatory technology is helping firms better understand and manage their risk” (deloitte.com). L’azienda di consulenza e revisione statunitense, nell’analizzare questo comparto produttivo ha avuto due grandi meriti. 

Il primo è stato quello di aver capito e sintetizzato alla perfezione lo scopo perseguito dalle soluzioni RegTech, ovvero “aiutare le aziende ad automatizzare le più ripetitive e noiose task di compliance e a ridurre i rischi operativi associati agli obblighi relativi al soddisfacimento dei requisiti di compliance e all’attività di reporting”.

Il secondo, invece, è stato intuire la rilevanza che il RegTech avrebbe avuto negli anni successivi, cosa che non era scontata nel 2015. La crescita, infatti, di questo settore è abbastanza recente e sorprendente se si considera che fino a poco tempo fa il RegTech rappresentava un segmento decisamente marginale rispetto ad altri, come ad esempio l’Insurtech.

Per dare un’idea di quanto si sta dicendo, basta considerare qualche dato relativo agli investimenti in tale ambito negli ultimi due anni.

Secondo quanto riportato da KPMG a febbraio di quest’anno all’interno della sua analisi semestrale, nel 2018 il settore che ha attirato maggiormente gli investitori è stato proprio il RegTech, che ha raccolto un totale di 3,7 miliardi di dollari, più che raddoppiando il risultato del 2017, che si fermava invece a “solo” 1,2 miliardi di dollari (home.kpmg).

La cosa interessante che sottolinea KPMG è che la crescita dell’intero settore Fintech è stata trainata dal RegTech e dalla Blockchain e dalle criptovalute e che per il futuro sarà proprio il RegTech assieme all’Insurtech a garantire ancora investimenti importanti nonostante il clima di generale incertezza economica che interessa tutta l’economia occidentale e non solo.

Non a caso, il numero di start up dedicate a questa sorta di compliance 2.0 sono sempre di più e offrono servizi sempre più specifici e sofisticati. Si sono formate infatti nel tempo diverse aree interne al RegTech che si occupano di specifiche necessità aziendali.

Tra tutte, si pensi, ad esempio al LegalTech, che è quel “micro-settore” del RegTech che attraverso l’impiego di software digitali offre quei servizi attualmente forniti da uno studio legale. 

In particolare, esso si occupa di automatizzare e digitalizzare attività quali la conservazione dei documenti, la gestione e l’archiviazione delle pratiche, la fatturazione e non ultimo la ricerca normativa, finalizzata al rilevamento di novità in materia di leggi e regolamenti, servizio quanto mai importante per essere sicuri che il proprio sistema di compliance sia sempre attuale ed adeguato a tutti i requisiti di legge.

Un altro micro-settore molto promettente alla luce di alcune nuove direttive europee entrate in vigore da poco è il DataExchangeTech (ntt-review.jp). Esso si occupa, come dice il nome, dello scambio di dati tra soggetti diversi, automatizzandolo, così da renderlo più rapido, ma anche più sicuro.

Lo sviluppo di tale segmento di mercato è stato quasi naturale a fronte di alcune tecnologie, come la Blockchain o il contratto digitale, che richiedono un costante e affidabile scambio di dati ed informazioni.

Questo fa sorgere una considerazione. 

 

Tre spinte equivalenti verso un’unica direzione: il punto di partenza per comprendere il ruolo del RegTech

La nascita del RegTech, più che quella di ogni altro settore del Fintech, è stata resa necessaria da tre elementi che caratterizzano il nostro contesto sociale, politico ed economico.

Il primo è l’evoluzione digitale che ha introdotto sul mercato una serie di nuove tecnologie che si sono diffuse e hanno profondamente cambiato tutti i settori dell’economia

Lo stesso Fintech ne è il più chiaro degli esempi. Sembrava impensabile che il settore bancario e quello finanziario potessero essere toccati dalla trasformazione digitale e ora, invece, ogni istituto tradizionale deve fare i conti con un mercato molto più allargato e competitivo e misurarsi con aziende leggere, aggressive e digitali. I dati in merito dimostrano che ormai questa trasformazione è diventata una realtà e che, in sostanza, “non si torna più indietro”.

Questo vale anche per l’Italia, che di solito appare un po’ più restia ad accogliere ed adattarsi ai cambiamenti tecnologici, invece mostra segnali di apertura.

Secondo quanto racconta Nòva, “l’inserto digitale” de Il Sole 24 Ore che si occupa del mondo dell’innovazione, nel nostro Paese circa 11 milioni di persone hanno utilizzato dei servizi di Fintech durante il 2018.

Non solo le persone, ma anche le aziende italiane si dimostrano preparate ad affacciarsi al mondo del Fintech. Più della metà dei Piccole e Medie Imprese italiane svolge attività finanziaria utilizzando un device mobile e 9 su 10 il computer, preferendo i servizi digitali soprattutto quando si tratta di anticipi sulle fatture o di richieste di leasing.

Infine, anche gli investitori italiani si sono mostrati attratti da questo settore e lo dimostra il fatto che nel 2018 sono stati raccolti complessivamente più di 190 milioni di euro, quadruplicando la cifra totalizzata nel 2017 (che ammontava a circa 47 milioni di euro).

 

Il costo della normativa

Il secondo fattore che ha contribuito all’espansione del settore del RegTech in questi anni è stata la notevole “pressione normativa” a cui sono sottoposte tutte le aziende, in particolare, quelle che operano nell’ambito bancario e finanziario. Questo ha reso il comparto della compliance aziendale molto oneroso da sostenere per via dei costi e delle risorse che richiede.

Basti pensare che sempre la Financial Conduct Authority ha rilevato che entro il 2020 si toccheranno le 300.000.000 pagine di regolamentazione, che comporteranno circa 4000 alert mensili tra scadenze ed adempimenti obbligatori (riskcompliance.it). Conseguenza di questa tendenza c’è il fatto che le aziende dovranno pagare sempre più cara la propria compliance

Si calcola, infatti, che, a questo ritmo, le spese relative alla compliance aziendale, finirà per rappresentare il 10-15% del totale delle spese operative delle banche globali (fintastico.com). Questo spiega perché nel 2018 molte aziende hanno continuato ad aumentare il budget dedicato proprio alla compliance aziendale. 

Se, infatti, nel 2017 il 53% delle aziende ha confermato un maggior livello di spesa, l’anno scorso sono state il 61%, sostenendo che tali investimenti siano stati resi necessari per via di una legislazione sempre più complessa che richiede l’impiego di figure senior, la modifica continua delle policy e delle procedure interne oltre alla necessità di svolgere training o di servirsi di risorse esterne. 

 

Sempre più adempimenti, sempre più sanzioni 

Infine, il terzo motivo che ha portato alla crescita del RegTech e ci fa comprndere l’importanza del suo ruolo è il rischio sempre più alto, da parte delle imprese finanziarie e non di incorrere in sanzioni e procedure di infrazione.

L’incremento della complessità normativa, infatti, spesso mette le aziende in una posizione non facile, poiché non è scontato adattarsi a nuovi regolamenti e procedure, considerato che spesso questo richiede delle modifiche all’organizzazione aziendale, l’integrazione delle competenze individuali o addirittura la creazione di veri e propri nuovi dipartimenti.

Nell’attesa che i nuovi adempimenti richiesti diventino automatismi per l’azienda, la stessa può trovarsi a dover pagare cara l’entrata in vigore di nuove normative.

Per avere conferma di quanto detto basta guardare alle statistiche. Ad esempio, a seguito dell’emanazione del GDPR, ovvero General Data Protection Regulation, che è il Regolamento Europeo relativo al trattamento e alla libera circolazione dei dati personali, sono state tante le procedure di infrazione legate al mancato rispetto della nuova normativa.

In particolare, il Garante per la protezione dei dati personali ha dichiarato che nel 2018 sono stati adottati 17 provvedimenti collegiali, 28 sono stati i pareri, 130 i ricorsi decisi, 707 le violazioni amministrative contestate, per un totale di 8,1 milioni di euro di sanzioni amministrative riscosse (federprivacy.org).

Del resto, anche nel contesto del CeFIT del 2018, tenutosi in collaborazione con l’Università Cattolica del Sacro Cuore, è stato riconfermato che il volume delle sanzioni normative comminate post crisi dal 2008 è costantemente cresciuto arrivando a toccare i 300 miliardi di dollari (webcache.googleusercontent.com).

Per questo non sembra una proiezione improbabile quella secondo la quale entro il 2020 si raggiungeranno complessivamente i 400 miliardi di dollari di sanzioni.

 

Che ruolo può giocare il RegTech?

Tutto questo ha portato il RegTech a diventare un settore sempre più strategico per le aziende, che lo guardano ormai da tempo con interesse sempre maggiore. Tuttavia, il punto vero è un altro: quale può essere l’impatto concreto del RegTech alla luce di quanto è stato detto sopra?

In generale, si può dire che il RegTech rappresenta una risorsa notevole per convertire la compliance da comparto costoso dell’organizzazione aziendale a una leva per far crescere il proprio business.

L’automazione di alcuni processi di controllo, la miglior gestione dei propri dati e una maggiore visione d’insieme di quello che sono le diverse azioni svolte dai clienti o dai propri dipendenti sono solo alcune delle opportunità che il RegTech offre alle aziende.

Per rendere ancora meglio l’idea di ciò che si sta dicendo si possono considerare un paio di esempi concreti.

 

RegTech e Payment Security Directive: la giusta s0luzione per un mondo open

Recentemente è entrata in vigore la Direttiva 2366/2015, anche nota come PSD, che riguarda la regolamentazione del mercato dei pagamenti digitali all’interno dell’Unione Europea – al tema abbiamo dedicato una serie di articoli che potete trovare qui, ma anche un whitepaper che potete scaricare qui.

Uno degli effetti principali di questa normativa è stato quello di “aprire” tale mercato anche a soggetti, le cosiddette Terze Parti, che prima non erano abilitati a svolgere autonomamente servizi finanziari, come il trasferimento di denaro (businessandleaders.it).

Adesso, invece, le banche saranno costrette a condividere i dati dei conti correnti proprio con le suddette Terze Parti per permettere lo svolgimento dei servizi.

In questo caso, il DataExchangeTech viene in aiuto agli istituti di credito tradizionali, che avvalendosi di tecnologie automatizzate potranno trasmettere i dati necessari a questi soggetti senza mettere a repentaglio la privacy dei propri clienti e senza rischiare una fuga di dati che potrebbe costare molto a diverse parti.

Tra l’altro, il DataExchangeTech in particolare potrebbe mostrarsi un ambito di sviluppo chiave del RegTech alla luce di un trend sempre più affermato: l’Open Banking (blog.osservatori.net).

Sebbene sia solo agli inizi, la trasformazione della banca in una piattaforma di servizi integrati immaginata da alcuni osservatori si sta infatti realizzando e, dunque, sarà sempre più importante per un istituto finanziario tradizionale avere sistemi di trasferimento e controllo dati sicuri ed affidabili. 

Il RegTech può rivelarsi una risorsa notevole per le aziende anche quando si parla di fatturazione digitale. Tale misura è stata salutata con grande favore per via dei notevoli benefici che la stessa ha portato in termini di gettito. Solo nel 2019 è stato possibile raccogliere più di 3 miliardi di Iva, segnando un netto aumento rispetto all’anno scorso e superando le stime più rosee che avevano previsto “solo” 1,9 miliardi di euro di entrate in più per l’erario (ilsole24ore.com).

A questo si aggiunga anche l’effetto deterrente che ha avuto questa misura sulle indebite compensazioni. Bloccando circa 700 milioni di crediti Iva inesistenti o non spettanti l’Agenzia delle Entrate ha impedito che le stesse venissero utilizzate per abbattere imposte dovute.

Nonostante questi risultati notevoli, molte aziende hanno segnalato un appesantimento della burocrazia e delle scadenze da dover rispettare, le quali si sono fatte particolarmente stringenti, viste soprattutto le sanzioni in cui si può incorrere (osservatori.net).

Da una ricerca svolta dall’Osservatorio Digital Innovation della School of Management del Politecnico di Milano è risultato, infatti, che sia sul ciclo attivo che su quello passivo le aziende non hanno percepito particolari benefici in termini di procedure e passaggi documentali.

In alcuni casi, addirittura, c’è stata una quota di aziende che ha rilevato dei peggioramenti per quanto riguarda l’attività gestionale sul ciclo passivo, l’aumento dei tempi di pagamento e una maggiore lentezza nella riconciliazione dei pagamenti.

Anche in questo caso il RegTech può fornire delle soluzioni efficaci, ideali ad aggiustare e prevenire gli effetti indesiderati della fatturazione elettronica.

Ad esempio, sarà possibile servirsi di software che registrino le scadenze da dover rispettare fornendo i giusti reminder. Oppure si potrà utilizzare la gestione automatizzata dei dati in entrata ed uscita per monitorare le attività di fatturazione proprie e dei clienti. 

Ancora: si potrà andare verso l’automatizzazione del rapporto con le autorità finanziarie in modo da rendere le comunicazioni più efficaci, dando rilevanza a quelle più importanti e scadenzandole in base agli obblighi di legge.

Come si vede, anche in questo caso le possibilità offerte dal RegTech per trasformare gli oneri burocratici in opportunità di sviluppo e crescita sono tante: spetterà alle aziende capire quali possono essere le più utili e implementarle il prima possibile all’interno della propria attività.