Articolo aggiornato al 26/07/2022

Dematerializzazione nella Pubblica Amministrazione e digitalizzazione

Quando si parla di dematerializzazione della Pubblica Amministrazione si fa riferimento ad una promessa a lungo disattesa. Sono, infatti, 20 anni circa che si punta a rendere più efficiente la PA italiana attraverso l’implementazione di una serie di innovazioni tecnologiche. Una di queste è proprio la dematerializzazione.

Tuttavia, qualcosa nel corso del tempo non ha funzionato e ciò che doveva essere un formidabile volano per la creazione di un’amministrazione pubblica a misura di cittadino, si è rivelata, alla fine, un progetto realizzato solo per metà.

 

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Prima di proseguire con il discorso, è bene fare un po’ di chiarezza lessicale. Spesso si tende a parlare di dematerializzazione affiancando il termine a quello di digitalizzazione, ma a ben vedere sono due concetti decisamente diversi.

Con dematerializzazione nella Pubblica Amministrazione si intende quel processo di eliminazione dei supporti cartacei per la gestione e la conservazione dei documenti.

In altri termini, si parla di dematerializzazione per indicare quella serie di attività volte a contrastare l’uso della carta e finalizzate a convertire un documento cartaceo in un documento informatico o elettronico preservandone il valore giuridico e probatorio, così come è indicato anche all’interno del Regolamento europeo eIDAS 910/2014/UE, il quale, tra le altre cose, “istituisce un quadro giuridico per le firme elettroniche, i sigilli elettronici, le validazioni temporali elettroniche, i documenti elettronici, i servizi elettronici di recapito certificato e i servizi relativi ai certificati di autenticazione di siti web”.

Da questo si capisce che quando si parla di dematerializzazione nella Pubblica Amministrazione non ci si può limitare alla semplice sostituzione della carta tramite supporti elettronici, ma ci si riferisce ad un più articolato e complesso ripensamento funzionale del documento e delle modalità di archiviazione e conservazione degli stessi.

La digitalizzazione, al contrario, attiene alla riorganizzazione dei processi interni alla Pubblica Amministrazione con lo scopo di renderli più efficienti e performanti.

Perché questo sia possibile è necessario che, da un lato, vengano sfruttati tutti gli strumenti digitali disponibili (ad esempio il cloud, ma anche la Blockchain o l’Intelligenza Artificiale) e dall’altro che i flussi documentali siano già costituiti da documenti elettronici.

Soltanto in questo modo, la Pubblica Amministrazione potrebbe sviluppare una serie di servizi innovativi in favore dei cittadini, per i quali la dematerializzazione è una componente necessaria ma non sufficiente dell’intera user experience.

Da dove parte la dematerializzazione?

Il progetto di dematerializzare la PA nasce a partire dagli anni ’90 con la legge n. 59 del 15 marzo 1997, ossia la famosa “Legge Bassanini” la quale pur non parlando direttamente di dematerializzazione, confermava il valore giuridico del documento informatico e faceva inoltre riferimento, tra i suoi principi programmatici, alla “semplificazione delle procedure amministrative e dei vincoli burocratici alle attività private”.

Sarà però solo nei primi anni 2000, ed in particolare con l’uscita del decreto legislativo n. 82 del 7 marzo 2005, ossia con il cosiddetto Codice dell’Amministrazione Digitale (abbreviato in CAD), che verrà data alla dematerializzazione e, più in generale, alla digitalizzazione della PA un quadro normativo organico e coerente.

L’importanza di questo codice è data da alcuni principi che esso contiene e su cui si basa (o si dovrebbe basare) la Pubblica Amministrazione digitale italiana. In particolare, viene stabilito che:

1. i cittadini e le imprese hanno il diritto di utilizzare strumenti informatici per svolgere i propri rapporti con la Pubblica Amministrazione. Questo significa che gli sportelli non possono più essere l’unico “portale” disponibile verso qualsiasi amministrazione e che, al contrario, deve essere assicurata la presenza di tecnologie e canali sicuri per poter svolgere digitalmente i propri adempimenti.

In caso tali tecnologie non siano disponibili, lo stesso diritto può essere rivendicato attraverso un’azione collettiva, a riprova del fatto che la dematerializzazione ha come obiettivo anche quello di porre al centro di ogni cosa il cittadino e non più il documento o l’adempimento amministrativo.

2. il risparmio accumulato grazie ai nuovi processi derivati dalla dematerializzazione e dall’evoluzione tecnologica in generale deve essere misurato, in modo da essere confrontabile e, soprattutto, deve essere ripartito e utilizzato per incentivare la formazione del personale interessato. In questo modo, grazie a questo “dividendo dell’efficienza” si dovrebbe innescare un circolo virtuoso in cui l’innovazione contribuisce al risparmio che supporta la formazione degli operatori che a loro volta contribuiscono a mantenere elevato il livello di innovazione.

3. il Codice stabilisce espressamente che vengano adottate tutte le misure più adatte per garantire il massimo coordinamento nell’innovazione. È, infatti, necessario che all’intero di tutto Paese si sviluppino e si diffondano le stesse innovazioni tecnologiche ed organizzative, così che tutti i cittadini, ovunque si trovino, possano beneficiare degli stessi servizi. Per fare questo, vengono individuati diversi “ruoli” all’interno delle amministrazioni. Ad esempio, lo Stato deve coordinare la dematerializzazione e il sistema organizzativo generale, mentre le Regioni devono portare avanti il processo di digitalizzazione di concerto con le autonomie locali e in armonia con le altre Regioni.

4. altro principio fondamentale è quello relativo alla validità dei procedimenti e dei documenti elettronici. Questa è evidentemente la premessa per l’effettiva eliminazione della carta dai processi burocratici, dal momento che la dematerializzazione non riguarda solo i documenti futuri, ma anche quelli già esistenti che sono da dematerializzare e quindi da sostituire con le loro copie elettroniche.

Perché questo avvenga nel modo più efficace possibile e senza disagi per i cittadini, il Codice individua i requisiti di validità di un documento elettronico, introducendo un sistema di contrassegno generato elettronicamente che serve per sancire la conformità del documento elettronico alle norme di legge.

5. il Codice afferma poi il principio di sostenibilità dell’organizzazione delle Pubbliche Amministrazioni al fine di poter realizzare un’effettiva innovazione, trasversale e condivisa. In questo senso, è necessario che tutte le amministrazioni centrali istituiscano una posizione di dirigente responsabile per l’intero processo di informatizzazione e il Codice stesso consiglia anche alle Regioni e agli Enti locali di farlo. Il passo successivo dovrebbe essere creare una Conferenza in modo tale che tutti questi soggetti si confrontino tra loro a tutti i livelli, permettendo un’implementazione armoniosa delle nuove tecnologie.

6. infine, l’intero impianto organizzativo delineato dal CAD prevede un complesso di incentivi e di sanzioni. In questo si stabilisce anche il principio secondo cui tali misure vengono accordate in base a quanto l’amministrazione ha adempiuto ai propri obblighi di dematerializzazione e, di conseguenza, in base a quanto risparmio ha totalizzato. Per fare questo, occorre che le performance siano misurabili e che vengano stabiliti degli standard e degli obiettivi da raggiungere. Applicando questo principio a tutta la PA, sarà possibile valutare le diverse prestazioni, spingendo gli operatori a mettere in atto comportamenti virtuosi, che assicureranno un livello alto e costante di efficienza dei servizi.

Un’amministrazione ancora troppo cartacea

Quanto delineato dal Codice dell’Amministrazione Digitale è ovviamente una realtà organizzativa modello che non sempre trova un riscontro nella realtà.

Nella maggior parte delle Pubbliche Amministrazioni con un buon livello di digitalizzazione, si nota che sono stati soddisfatti tutti quanti i presupposti fondamentali per attuare un processo efficace di dematerializzazione: ovvero, sono stati adottati un protocollo informatizzato, ci si è attrezzati per la firma digitale e sono state implementate le necessarie misure di conservazione.

Tuttavia, è proprio a questo punto che si nota un paradosso: nei corridoi della burocrazia italiana continua ad esserci molto (e forse anche troppa) carta. Viene naturale domandarsi il perché.

Come sempre le risposte semplici non ci sono e imputare tale fenomeno ad un solo fattore significa inevitabilmente semplificare situazioni che sono più complesse ed articolare. Tuttavia, c’è uno dei possibili motivi particolarmente interessante, che può essere compreso meglio se si recupera la distinzione indicata sopra tra digitalizzazione e dematerializzazione.

Come si è già detto, la digitalizzazione, rispetto alla dematerializzazione, è un concetto che indica un intervento molto più ampio e per certi aspetti complesso, organizzativo e “radicale”. Esso implica quasi una “reingegnerizzazione” dei processi interni alla Pubblica Amministrazione così da cambiare sia la gestione interna sia la natura del servizio fornito al cittadino.

Quello che sembra mancare alla Pubblica Amministrazione italiana è proprio questa rivoluzione organizzativa. È, infatti, certamente vero che molte amministrazioni pubbliche hanno applicato la normativa, adempiendo ai vari obblighi di protocollo informatico, di conservazione e poi di sistemi di firma digitale, ma poi hanno notevolmente rallentato la loro corsa.

Gli obblighi di gestione digitale dei processi sono stati perlopiù trascurati e la digitalizzazione dei procedimenti è stata tralasciata o affidata alla buona volontà dei singoli ufficio perché troppo complessa o troppo onerosa o lunga da realizzare. Questo ha fatto sì che non ci sia mai stata una vera è propria innovazione nella gestione dei procedimenti, che sono dunque rimasti non idonei a gestire operazioni e documenti già elettronici.

In linea con quanto previsto dal Regolamento (UE) 2021/241 istitutivo del Recovery and Resilience Facility, che individua nella transizione digitale uno dei sei pilastri per le strategie di rilancio delle economie europee, in Italia il PNRR destina circa il 25% a investimenti in tecnologie, infrastrutture e processi digitali finalizzati a promuovere la competitività del sistema paese (fonte: forumpa.it).

Dunque, si può dire che ciò che manca alla Pubblica Amministrazione, tra le altre cose, per attuare un’effettiva dematerializzazione, è un’impalcatura organizzativa all’altezza delle soluzioni digitali che già implementate da alcune amministrazioni virtuose o da privati.

In questo senso, affiancarsi a professionisti esperti in digital transformation e soluzioni di dematerializzazione per avere una consulenza o per impostare in modo sicuro ed efficace tale digitalizzazione dei processi potrebbe essere una chiave per superare molte criticità.

Non a caso, Doxee, azienda che da oltre un decennio si occupa di trasformazione digitale e contribuisce al progresso dello stato dell’arte dell’archiviazione e della comunicazione dematerializzate, ha già al suo attivo numerose collaborazioni con diverse amministrazioni pubbliche, dei cui risultati hanno beneficiato sia la PA nel suo complesso che i singoli cittadini e che in scala ancor più grande potrebbero essere portati in tutto il Paese.

Alle difficoltà pratiche di cui si è dato conto sopra, si aggiunge poi un altro problema constatato da diversi commentatori e considerato ugualmente rilevante: il Codice dell’Amministrazione Digitale non è un testo davvero all’altezza del compito che dovrebbe svolgere. Esso è, infatti, apparso inadeguato fin da subito, al punto tale che alcuni ne propongono l’abrogazione.

Anche perché la mancanza di una normativa chiara e stabile non permette di far diventare i processi e gli strumenti messi a disposizione una realtà acquisita e stratificata e inoltre impedisce anche di valutare secondo parametri affidabili l’efficienza e la conformità dell’organizzazione della PA rispetto ai requisiti di legge.

Qual è la soluzione per una vera dematerializzazione?

Non è facile capire come poter uscire da una situazione del genere. Come detto, si può partire dalla normativa, riformandola radicalmente, ma non è detto che questo sia sufficiente. Occorre un vero e proprio cambio di mentalità.

La dematerializzazione nella Pubblica Amministrazione ha senso solo se accompagnata da una profonda riorganizzazione interna, in modo che si aprano effettivamente alle innovazioni digitali.

Perché questo sia possibile è necessario puntare molto sulla formazione, non solo degli operatori, ma anche di un’intera classe politica di amministratori, in modo da sviluppare una certa sensibilità circa la materia.

La prospettiva deve dunque cambiare, mettendo sempre più al centro il cittadino, come è avvenuto all’interno delle rinnovate strategie di digital marketing. Occorre studiare le nuove abitudini, i nuovi device, i nuovi touch point e poi costruire una customer experience efficace e all’altezza delle aspettative.

Solo così la dematerializzazione potrà essere definitivamente acquisita e diventare parte del DNA della nuova Pubblica Amministrazione.

In questo senso, un ruolo chiave lo potranno giocare i professionisti del settore, come Doxee, che possono contribuire, attraverso la propria esperienza e le proprie soluzioni, a favorire questa rivoluzione.