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Food retail marketing: com’è cambiata la situazione dei retailer del settore alimentare?

food retail marketing

Il settore del food retail è cambiato profondamente in questi anni, sia per la trasformazione digitale che la pandemia e, di conseguenza lo è anche il food retail marketing. Ma quali sono i caratteri di questo cambiamento e soprattutto, quali sono le soluzioni digitali da sfruttare per non rimanere schiacciati dalla cavalcata dell’e-commerce?

A ben vedere, il food retail è uno dei settori che ha affrontato più cambiamenti negli ultimi anni e che a causa della pandemia ha dovuto fronteggiare delle sfide che sicuramente lasceranno il segno. Per questo, è naturale che sia cambiato anche il food retail marketing e le relative strategie messe in atto dai protagonisti del settore. Pandemia da un lato, dunque, ma anche trasformazione digitale, che ha inciso sempre di più sulle caratteristiche e l’aspetto di un segmento economico che per un Paese come l’Italia è decisamente strategico. Non è un mistero, infatti, che sempre di più l’e-commerce stia acquistando mercato e guadagnando terreno rispetto ai competitor tradizionali: lo dimostrano esempi celebri come quelli di Alibaba o di Amazon che per mettere un piede nel ricco comparto del food retail hanno iniziato ad aprire dei veri e propri store fisici in cui gli utenti possono fare la spesa.

D’altro canto, però, la trasformazione digitale non rappresenta solamente questa “minaccia” competitiva. Al contrario, per molti aspetti la digitalizzazione sta offrendo strumenti e soluzioni nuove per ridare carburante ad un comparto che per rimanere davvero competitivo non può contare soltanto sulla qualità dei propri prodotti. Ma andiamo con ordine e partiamo dai dati.

 

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Un settore che sale incredibilmente…

Per capire quale è la situazione dei retailer nel settore alimentare è bene considerare cosa ci dicono le statistiche circa i consumi e i ricavi dell’ultimo periodo.

Come ci si può immaginare, il food retail ha retto bene alla pandemia e, anzi, è riuscito ad aumentare i propri ricavi durante questo periodo di emergenza. Del resto, abbiamo tutti in mente le lunghe file all’esterno dei centri commerciali e la buffa corsa al lievito che ha spinto gli italiani in poco tempo ad esaurire le scorte di farina, uova e quanto altro serve per la panificazione. Tutto questo ha avuto chiaramente una ricaduta su quelli che sono stati i numeri del retail in tale periodo.

Tornando indietro di qualche anno, si può vedere come la grande distribuzione stesse già arrivando da un quadriennio (2013-2017) in cui il fatturato aggregato è cresciuto – addirittura nel 2017 il giro di affari ha raggiunto 83 miliardi di euro, che è il miglior risultato dal 2014 – ma che ha assistito, al contrario, alla costante diminuzione del margine operativo netto del 5,5% e il risultato corrente del 5,9% (repubblica.it). Questo avrebbe significato per l’intero settore una lenta ma inevitabile marcia verso la stagnazione, cosa che tra l’altro è accaduta anche in altri paesi, come ad esempio gli Stati Uniti.

Ad invertire questa tendenza c’è stato appunto il fattore imprevisto del Covid-19 e il conseguente lockdown che ha avuto un riflesso notevole sulle vendite, che almeno nella prima fase hanno avuto un’impennata verso l’alto (ansa.it). Secondo alcune rilevazioni, infatti, c’è stato un aumento generalizzato che ha interessato il Nord Est in particolare (+7,4%), seguito dal Sud (+5,2%), dal Nord Ovest (+3,5%) e infine dal Centro Italia (+1,8%). Il fenomeno è stato addirittura definito “un terremoto” (foodweb.it), anche alla luce del grande aumento della domanda che si è avuto nei mesi scorsi, la quale ha toccato livelli che solitamente non si raggiungono nemmeno in occasione dei picchi legati alle festività natalizie.

 

…ma che finisce per rallentare

Secondo una legge non scritta, tutto ciò che sale prima o poi scende ed effettivamente è quello che è capitato anche all’interno dell’ambito del food retail.

Dopo questa prima fase irresistibile, la crescita del settore si è rapidamente “stabilizzata”, riducendosi notevolmente mentre l’emergenza sanitaria piano piano rientrava (nielsen.com). Questo non ha impedito ai player di portare addosso i segni positivi di tale accelerazione, che hanno dato una generale boccata d’ossigeno ai praticamente a tutti gli operatori, ma se tali segni positivi si sono ridotti nel tempo, altre conseguenze della pandemia continuano a farsi sentire e molto ci dicono della conformazione che detto settore avrà in futuro.

Alla riscoperta del food retail di prossimità

Una delle trasformazioni più rilevanti messe in moto dal periodo che stiamo vivendo è la riscoperta dell’acquisto di prossimità.

Sebbene le immagini dei supermercati presi d’assalto abbiano dominato le pagine dei quotidiani per giorni, curiosamente sono state le botteghe e i piccoli venditori a trainare la crescita dell’intero settore in questi mesi. Basti pensare che i retailer di dimensioni più ridotte hanno registrato, durante l’emergenza sanitaria, un +27%, distanziando e anche di molto i supermercati (+12,9%) e i discount (+7,9%), competitor spesso accusati di cannibalizzare proprio i player più piccoli. Alla base di questo risultato clamoroso sta il fatto che in un periodo ad alto pericolo di contagio, le persone hanno preferito andare ad acquistare in luoghi dalle dimensioni più ridotte, dove il rischio di assembramenti fosse minore. A ciò si aggiunga che molti negozi di quartiere, proprio grazie alle loro dimensioni, sono stati in grado di rimodulare l’offerta di prodotti in base alle esigenze delle persone del proprio quartiere, andando incontro ai bisogni più frequenti e organizzando un servizio di consegna a domicilio, attivando dei canali di comunicazione prima di oggi piuttosto trascurati, come Facebook, Instagram, Whatsapp.

Grazie a questo, molti cittadini hanno di fatto riscoperto l’importanza dei piccoli negozi di quartiere e il valore inestimabile della rete di rapporti e di socialità di cui questi ultimi rappresentano un nodo fondamentale. Questo, tra l’altro, ha spinto gli stessi consumatori a voler supportare con i propri acquisti le realtà economiche più piccole e quindi più vulnerabili agli effetti dell’emergenza sanitaria.

 

L’e-commerce che corre

Il secondo segno di cambiamento del food retail, come già anticipato sopra, è l’avvento dell’e-commerce come realtà con cui tutti i player devono fare i conti. Basti pensare che nel periodo tra la fine di febbraio e i primi giorni di maggio, le vendite dei prodotti di largo consumo attraverso la rete sono cresciute del +144,6%, arrivando, nella fase di picco ad un incredibile +304,6%.

Dall’inizio del 2020, il numero dei consumatori online in Italia è triplicato, raggiungendo la cifra notevole di 2 milioni di utenti (agi.it). Del resto questo trend è già ampiamente diffuso in tutta Europa: il 93% dei consumatori nel Regno Unito compra in rete già da parecchi anni, così come il 91% dei consumatori nei Paesi Nordici e dei Paesi Bassi, seguiti da quelli della Germania (88%) e poi da quelli di Spagna e Francia (84%). Tra l’altro, a differenza della crescita di cui si è parlato sopra, la rilevanza dell’e-commerce è destinata a durare nel tempo e a farsi sentire ancora a lungo. E ciò è tanto più vero se si pensa che proprio in quest’ultimo periodo si è diffuso un nuovo modo di comprare e consumare i cibi, ovvero il cosiddetto “modern food retail, che altro non è se non l’acquisto online di alimenti che poi vengono mangiati a casa.

Siamo di fronte alla fine di un tabù: l’e-commerce non è più relegato all’acquisto di oggetti o di accessori elettronici, ma diventa un canale di distribuzione degli alimenti al pari di quello fisico. Questo segna un cambiamento di mentalità (almeno in Italia) epocale, che ha delle ricadute inevitabilmente anche sulle strategie di marketing che da qui in poi i player dovranno adottare.

 

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Come cambia il food retail marketing?

La domanda è proprio questa e si può e si deve rispondere a partire dai cambiamenti che sono stati esposti sopra. Vicinanza e digitalizzazione: come si tengono insieme queste due cose?

Un modo l’abbiamo certamente già indicato parlando dei piccoli esercenti, ovvero che si stanno sempre di più aprendo agli strumenti e alle soluzioni messe in campo dalla trasformazione digitale. La rete, infatti, è diventata uno strumento fondamentale per far conoscere i propri prodotti e raggiungere gli utenti con delle offerte specifiche pubblicate sui propri profili. A giocare un ruolo fondamentale, però, non sono soltanto i social network.

Al contrario, molti grandi retailer si sono già aperti da tempo ad altre innovazioni digitali che stanno cambiando il modo in cui i consumatori fanno la spesa. Stiamo parlando, ad esempio, delle applicazioni per tablet e smartphone, che i principali player hanno sviluppato per facilitare la customer experience dei consumatori stessi. Un caso interessante ci viene fornito dal gruppo Despar, che ha sviluppato una app che invia al consumatore una notifica quando sono presenti delle offerte o delle promozioni speciali. In aggiunta, l’app prevede anche una sezione dedicata ai coupon, la raccolta punti e persino un’area dedicata ai giochi, con cui l’utente può intrattenersi e nello stesso tempo conquistare sconti e ad offerte speciali in base al risultato ottenuto.

Un altro esempio è quello di Esselunga, che ha attivato l’app Ufirst per la creazione della coda digitale, così i clienti non devono aspettare fisicamente in cassa. Con questa semplice innovazione, i retailer hanno trovato un modo immediato ed efficace per trasformare lo smartphone in un device capace di facilitare l’acquisto e di rendere l’intera customer experience più fluida e a misura di consumatore.

Tra l’altro, questo tipo di strumenti non servono solamente a migliorare la customer experience: essi moltiplicano la possibilità di raggiungere gli utenti con notifiche e messaggi personalizzati che gli operatori possono utilizzare per spingere gli stessi a recarsi presso il punto vendita e acquistare.

 

La vera sfida del food retail marketing

In ogni caso, se i due binari su cui sta correndo il food retail in Italia sono questi– digitalizzazione e riscoperta dei piccoli centri di acquisto alimentare – ci si può chiedere che cosa ne sarà degli spazi fisici, soprattutto quelli di grandi dimensioni. A ben vedere, la sfida dei prossimi anni sarà proprio questa, ovvero ripensare alla struttura e all’organizzazione complessiva degli store, in modo tale da non far perdere appeal a questi luoghi che sono invece fondamentali per il settore. Del resto il retail marketing è proprio questo, ovvero “l’attività di sales promotion svolta dalle imprese di distribuzione commerciale nei confronti degli acquirenti finali per incrementare il sell-out di punto vendita”.

Pertanto, il food retail marketing deve occuparsi di come valorizzare gli spazi fisici ora che stanno diventando rilevanti i canali di distribuzione digitali.

Una strada certamente è quella già descritta delle applicazioni per smartphone, che mostra come per sopravvivere lo store reale deve fondersi con quello che esiste in rete, facendo ritrovare il consumatore in un ambiente perfettamente phygital.

 

Il prossimo passo è l’omnicanalità

Per fare questo, è chiaro che sempre di più le strategie di food retail marketing dovranno tendere a realizzare un’efficace ambiente omnicanale, così da mettere al centro il cliente e la sua esperienza di consumo e contemporaneamente costruire un sistema interconnesso tra tutti i punti di contatto che il retailer ha con detto cliente. In questo modo, il consumatore ha la possibilità di interagire con l’azienda potendo scegliere tra una molteplicità di opzioni e contestualmente può vivere la stessa esperienza attraverso quanti touchpoint vuole senza nessuna dissoluzione di continuità nei diversi passaggi da un punto di contatto ad un altro.

Da questo punto di vista, però, la situazione italiana del settore è acerba: se da un lato il traffico nei punti di vendita fisici è in calo, nello stesso tempo i player non hanno ancora compiuto in modo soddisfacente questa trasformazione. Basti pensare, che secondo il report dell’Osservatorio Omnichannel Customer Experience del Politecnico di Milano tra tutti gli operatori “meno del 40% ha un approccio strutturato al marketing omnicanale e data-driven, solo uno su quattro al customer care omnicanale e circa la metà ha servizi di integrazione delle vendite from online to offline”. E sebbene la pandemia abbia accelerato la transizione verso questo tipo di food retail marketing strategy, la strada da fare è ancora lunga, dal momento che fino ad ora si è operato in un contesto emergenziale, dunque più per “tamponare” che per programmare. Adesso, invece, occorre prendere delle decisioni avendo ben chiaro nella mente un progetto strategico di lungo periodo, finalizzato a cambiare radicalmente le modalità di vendita in store.

Fare una cosa del genere, a ben vedere, non solo è necessaria, ma soprattutto conveniente. Innanzitutto perché se si aprono più canali di vendita aumentano le possibilità di raggiungere nuovi clienti. E non clienti qualsiasi, ma clienti particolarmente “preziosi”. Lo ha sottolineato uno studio dell’Harvard Business Review, secondo il quale i clienti inseriti in un ambiente omnicanale tendono a trascorrere più tempo nel negozio fisico durante lo shopping, mostrando anche una maggiore predisposizione a spendere di più, in quanto fortemente fidelizzati. Al di là del gioco di parole, dovrebbe bastare questa evidenza a stuzzicare l’appetito di molti player del settore alimentare in Italia e non solo.

 

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