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#iorestoacasa – Cosa significa Smart Working per Massimo Selmi, Application & Infrastructure Manager di Doxee

cosa significa smart working

Cosa significa Smart Working? Alla luce degli ultimi sviluppi sulla triste questione Coronavirus, le aziende e le pubbliche amministrazioni di tutta Italia lavorano, se possibile, ormai solo in Smart Working. La modalità di lavoro agile può essere applicata per tutta la durata dello stato di emergenza, a tutela di tutti i cittadini.

Si parla di Smart Working da ormai molti anni, ma sono tantissime le imprese che si sono trovate ad adottare questa modalità lavorativa solo da una settimana a questa parte, per fronteggiare l’emergenza ed ottemperare alle misure restrittive per contenere l’epidemia del coronavirus. Non è il caso di noi di Doxee, che conosciamo già lo Smart Working e da tempo ne usufruiamo. Abbiamo voluto quindi intervistare Massimo Selmi, Application & Infrastructure Manager in Doxee, per illustrare il suo punto di vista e capire come ha organizzato e coordinato il lavoro da remoto, seppur trattandosi di un reparto molto tecnico.

 

1. Come hai organizzato per questo periodo così lungo di emergenza il tuo team, trattandosi di un pull di persone tecniche?

Sì, il nostro è un reparto un po’ particolare e necessita di un minimo di presenza fisica per gestire rapidamente, ad esempio, eventuali esigenze relative a guasti fisici sui sistemi, restore dati non più in linea su sistemi nearline (es. su cassette), etc. Abbiamo, quindi, ovviato con un presidio di una persona in sede, a rotazione. Per fare ciò, abbiamo chiesto la collaborazione di un collega di altra unità, per garantire una presenza minima di almeno due persone, per eventuali emergenze personali. Quasi tutti gli altri colleghi sono in Smart Working e con alcuni, invece, abbiamo concordato un periodo di ferie, residue da anni precedenti.

Cosa significa Smart Working per noi? Organizzare bene il lavoro quotidiano, ad inizio e fine giornata facciamo una rapida riunione per uno “stand-up meeting virtuale”. Sono occasioni per informarsi su ambiti sui quali si opererà o si è operato, eventuali esigenze che coinvolgono altri membri del team o problematiche per le quali è necessario un ulteriore supporto. Devo dire che questa era già un’abitudine consolidata in precedenza e questo ci ha permesso di essere efficaci, puntuali, rapidi e focalizzati fin dal primo giorno. L’organizzazione del team era ed è tuttora mappata su matrici di responsabilità per ambiti di: processi in ownership, tecnologie da governare e servizi erogati. Questo ha consentito, fin da subito, di non dover modificare le modalità di lavoro, anche operando da remoto.

 

2. Nel tuo reparto gestite i sistemi interni e adottare l’agile può essere una sfida non da poco. Cosa ne pensi?

Vero, è una sfida, ma direi una bella sfida! Una sfida che porta anche a dei risultati estremamente positivi.

Il modello Agile, nel vero senso della parola, non si presta ad attività asincrone (es.: incident), su questo ci aiuta l’organizzazione a matrici di responsabilità a cui facevo riferimento. Senza togliere che gli “Incident” sono la parte meno significativa, come effort, del nostro lavoro a vantaggio delle Operational Activities per il corretto mantenimento dei sistemi e dei servizi e degli svariati progetti in ambito. Ciò non toglie che, in generale, non c’è più nulla che non si possa fare da remoto, a patto di avere una buona organizzazione delle attività, degli ambiti di operatività, del modello di escalation per supporto e, soprattutto, un team coeso, affidabile e responsabile. Tutto questo unito a strumenti di collaboration e governance delle infrastrutture efficaci, consente comunque di poter operare alla stessa stregua come se si fosse in ufficio.

 

3. Stai notando difficoltà nell’avere un team quasi totalmente delocalizzato?

No, nessuna difficoltà significativa o comunque tutto risolvibile rapidamente.

Questo momento particolare sta evidenziando un particolare non di poco conto: si riduce quello che chiamo “rumore di fondo”. Le persone sono maggiormente orientate all’obiettivo, le riunioni sono più efficaci, brevi e puntuali. I coinvolgimenti ed i contatti con i colleghi dell’azienda, fornitori e clienti hanno, a mio avviso, avuto un significativo miglioramento. Pragmatismo, capacità di dare priorità alle cose, collaborazione sono solo alcuni degli aspetti che ritengo si siano evoluti in meglio ed in modo significativo. Credo che l’aspetto sociale dell’interazione diretta sia fondamentale nel lavoro di team, ma questo insegnamento forzato ci sta dando tanti spunti su cui riflettere e migliorare noi stessi ed i nostri modelli organizzativi e di governance.

 

4. Nel tuo team/reparto, quanto è importante la tecnologia per il successo del remote working?

La tecnologia è sempre importante nel nostro lavoro, ma non è il tassello primario. La vera differenza la fanno i processi, le metodologie di lavoro consolidate e capaci di adeguarsi all’evolvere delle situazioni esogene e del contesto interno. La tecnologia è uno strumento abilitante, ma rimane comunque uno strumento. Il vero elemento cardine sono le persone, la loro professionalità acquisita, il loro potenziale, il loro senso di appartenenza, la capacità di comunicare e collaborare. A mio avviso, il nostro non è il lavoro dell’artista solitario, ma dell’arte di saper coniugare, governare e guidare il mix di esperienze, skill, attitudini e relazioni per raggiunger obiettivi che il singolo da solo non può affrontare.

Tornando alla domanda, ritengo che essersi dotati da anni di strumenti di lavoro collaborativo, insieme a strumenti di monitoraggio e di governance delle tecnologie adeguati, flessibili nel tempo permetta di operare in modo del tutto trasparente anche in remote working.

Doxee, inoltre, aveva già avviato lo Smart Working per i dipendenti e questo ha consentito di far partire tutta l’azienda da remoto a partire già da lunedì 9 Marzo, con una decisione dell’intero management aziendale riunito in video conference il giorno prima. Infatti, anche le unità non prettamente tecniche sono state fin da subito operative, perché già dotate degli opportuni strumenti. Nota di merito ritengo debba anche essere riconosciuta alle nostre istituzioni ed alle nostre imprese del settore tecnologico che hanno sin da subito messo a disposizione delle imprese meno preparate, strumenti e competenze in modo gratuito ed aperto, per agevolare l’avvio dello Smart Working – giusto un esempio? Solidarietà Digitale AgID.

 

5. Consiglieresti ad altre aziende che non avevano mai adottato prima lo smart working ad implementarlo anche dopo questo periodo di crisi? Perché?

Certamente! Dobbiamo uscire dalle paure ataviche del controllo visivo delle risorse affidate, peraltro passibile di non corrette interpretazioni e valutazioni. Affidabilità e senso di responsabilità delle persone non sono caratteristiche che devi scoprire nei collaboratori solo in periodi delicati o di emergenza e questo ritengo sia il valore e la condizione necessaria per partire. Senza dubbio occorre calarsi in ottiche comunicative diverse, da integrarsi con la capacità di dedicare il giusto tempo alla pianificazione, alla preparazione ex-ante delle attività, alla verifica ed all’eventuale enforcement/gestione dell’escalation. Questo sì, può apparire come uno sforzo aggiuntivo, ma ritengo certamente compensato dai possibili risultati.

Quindi… Cosa significa Smart Working? Lo Smart Working non dovrebbe essere un “benefit”, così come non dovrebbe trasformarsi in una “necessità forzata dalla situazione cogente”. Al contrario, andrebbe considerato come una grande opportunità per migliorare il nostro modo di lavorare e di conseguenza il nostro modo di vivere e di saper cavalcare il cambiamento, senza esserne travolti.

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