Che ruolo hanno oggi i blog, gli influencer, i social network e il video marketing nel settore fashion?

Nel corso del tempo, parallelamente all’evolversi delle tecnologie di comunicazione, anche gli asset del digital marketing nel settore fashion si sono trasformati, assumendo forme di utilizzo sempre più articolate e sviluppandosi, in generale, in direzione di una sempre maggiore interattività e personalizzazione dell’esperienza d’acquisto. Proprio per la sua cifra costitutiva, — l’esigenza, amplificata dalla stagionalità, di costruire un immaginario percorso da suggestioni sempre nuove — il marketing della moda si configura, prima di tutto, come content marketing fashion industry, in cui tutti gli asset a disposizione rappresentano altrettanti dispositivi per la creazione di narrazioni. 

Del sito, dell’e-commerce e della SEO abbiamo parlato in un articolo precedente, fornendo una panoramica del loro funzionamento all’interno del marketing mix e alcuni suggerimenti per ottimizzarli. Qui chiariremo invece il ruolo giocato dai blog (aziendali e di persone esterne all’azienda), dagli o dalle influencer, dai social network — tra i quali, sicuramente, Instagram merita un discorso a parte — e dal video marketing, oggetto mediatico per eccellenza, indispensabile in qualsiasi marketing strategy decisa dal brand, in particolare nel settore fashion.  

Una necessaria premessa: l’aspetto che in questa sede ci interessa mettere in evidenza è che, anche se nati “spontaneamente” dalle iniziative personali di outsider, blog e profili social sono stati nel tempo sistematicamente integrati nella pianificazione marketing delle case di moda, a riprova di una progressiva e inarrestabile presa di coscienza delle potenzialità abilitate dal digital marketing.

 

Il fashion blog: disintermediare la comunicazione della moda

La moda, industria con indotti multimiliardari, subisce l’influenza di cambiamenti sociali e controtendenze che hanno origine al di là dei suoi confini produttivi e distributivi. I fashion blog fanno parte di queste tendenze centripete che hanno scosso dalle fondamenta l’establishment imponendo anche in un settore tradizionalmente conservatore il paradigma internettiano per eccellenza del many-to-many, che sottrae l’esclusiva della produzione di contenuti alla casa di moda per dare vita a un ecosistema ibrido (on line e off line) e polifonico

Anche se le loro origini rimangono vaghe, sembra che i blog di moda fossero già presenti nella blogosfera prima del 2002 (theage.com.au). Agli albori del social networking la nuova dimensione multicentrica e multidirezionale della comunicazione digitale si esprime realtà capaci di unire intuizione imprenditoriale a semplicità d’uso. I fashion blog nascono nella maggior parte dei casi come entità esterne al marketing istituzionale e crescono esponenzialmente nel corso degli anni 0 e 20 per numero, qualità e volume di traffico. 

 

The Blonde Salad: il caso Chiara Ferragni

I fashion blog disintermediano la comunicazione del brand liberando e mettendo a valore le risorse creative di una molteplicità di content creator spesso esterni al marketing istituzionale. Per raccontarne la potenza di fuoco citiamo l’esempio di The Blonde Salad dalle cui “pagine” Chiara Ferragni ha costruito una esperienza digitale tra le più famose del mondo, che nel 2015 è stata anche oggetto di un caso di studio della Harvard Business School (hbs.edu).

Nel 2019 viene presentato al Festival del cinema di Venezia, il documentario Unposted per la regia di Elisa Amoruso che racconta l’avventura imprenditoriale di Ferragni (iodonna.it). Anche se il racconto appare in una certa misura propagandistico (come è stato fatto notare da più parti) sono presenti alcuni interventi di personalità del mondo della comunicazione della moda che aiutano a inquadrare la straordinarietà di TBS. La vicepresidente esecutiva di «Forbes» Moira Forbes traccia, per esempio, il quadro del contesto in cui The Blonde Salad fa la sua comparsa, un contesto profondamente elitario e respingente:

“Non dimentichiamo che The Blonde Salad risale al 2009, cioè agli albori dei blog, all’epoca ancora circondati da scetticismo. Nel suo primo mese online il blog di Chiara Ferragni ha generato 30.000 visite e all’epoca pochissime persone capivano questo nuovo ecosistema. In pochissimo tempo, mentre i suoi follower crescevano il fashion system (fashion industry) ha dovuto adattarsi ed è totalmente cambiato il ruolo che un blog o una singola persona può giocare influenzando il sistema.” 

Il mondo delle moda era una nicchia. Chiara Ferragni ha faticato non poco, per sua stessa ammissione ad essere accettata dalle persone appartenenti al settore moda. Lo conferma anche Derek Blasberg, capo dipartimento di moda e bellezza di Youtube: in un intervista inserita nel documentario: “A un certo punto, c’è stato un atteggiamento aggressivo nei confronti dei blogger emergenti, la vecchia scuola ha cercato di respingerli, talvolta con reazioni molto ostili.”

“Non è stato facile per Chiara avere accesso al mondo dell’alta moda” dichiara, sempre in Unposted Stefano Tonchi, caporedattore di «W Magazine»: “L’industria del lusso e della moda è stata tra le ultime a convertirsi al digital e ancora non lo sono completamente. (…) La rivoluzione digitale sta cambiando i rapporti fra le persone nel modo in cui comunicano. La caratteristica dei social media è che parlano direttamente al consumatore finale. Eliminano la presenza del critico, la presenza dei magazine e creano questo rapporto non mediato tra consumatore e prodotto”. 

Le consacrazione passa dalle proposte di sponsorizzazione. La “consacrazione” per The Blonde Salad arriva nel febbraio 2010 durante la Fashion Week di Milano e con i primi inviti ufficiali alle sfilate, anche stampa specializzata e tv legittimano il fenomeno “Chiara Ferragni”. Un settore molto “snob”, esclusivo, conservatore si trova di fronte all’urgenza non più procrastinabile di lasciar entrare i nuovi “barbari”, i new comers del fashion marketing.

Da diario on-line a content hub. Oggi The Blonde Salad è una piattaforma multimediale che ospita, oltre a un fortunato e-commerce, anche un magazine online dedicato ai temi del life style: fashion, trends, i look delle celebrity, travel, beauty. Questa evoluzione del fashion blog da diario on line a content hub ha avuto due conseguenze importanti:

  • la migrazione sui social network dell’outfit blog, che meglio si esprime nelle forme brevi e immediate dei post Instagram (micro blogging);
  • la nascita degli influencer e il passaggio del loro status da content creator a social icon a, nel caso di Chiara Ferragni, imprenditori digitali.

 

Gli influencer al centro di un processo di co-creazione culturale

“Gli influencer sono quelli che chiamiamo creatori ed esistono da prima che esistessero i social. Le piattaforme di social media sono diverse dalle piattaforme video, come film, tv cavo o satellite o anche la radio. Gli influencer sanno che possono usare queste piattaforme per influenzare comunità di interessi e condividere valori, affinità, ideologie, identità. E ciò che fanno dopo è trasformare queste affinità, queste comunità in fonti di reddito. La nascita di un nuovo social media può causare una rottura degli equilibri nella società. Reazioni di panico, o ansia, non sappiamo cosa può accadere esattamente. (…) nessuno si aspettava che gli utenti potessero a loro volta diventare creatori, usando quelle stesse piattaforme per crearsi un lavoro. (…) È un processo di co-creazione culturale. (…) Un cambiamento radicale, rivoluzionario.”

Così fotografa gli influencer Davide Craig docente di Social Media alla University of South California (anche lui interpellato nel documentario Unposted), rimarcandone il contributo nei termini di maggiore libertà creativa e di carica disruptive.

Nel 2016 una mostra organizzata alla Triennale di Milano individuava nella street style photography di Bill Cunningham il prestigioso precedente a cui si ispirerebbero gli influencer contemporanei e in Scott Schuman, fondatore nel 2005 di The Sartorialist il caposcuola di quella nuova generazione di fotografi che immortalano in scatti “rubati ad arte” lo stile metropolitano delle grandi città della moda (Milano, New York, Parigi, Copenaghen – lestanzedellamoda.com). Forbes individua nella presenza quotidiana e capillare degli influencer il motivo di un cambiamento nelle loro modalità di relazione con gli utenti, che sarebbero sempre più caratterizzate da “una lenta, ma inesorabile, perdita di spontaneità e naturalezza” e da un ritorno sempre più evidente al ruolo pre-digitale di testimonial. Il valore aggiunto si sposterebbe quindi “dal cosa al chi”, dal “contenuto prodotto” alla “posizione di chi lo pubblica”, a fronte, è bene specificarlo di una partnership tra brand e influencer che continua in ogni caso ad essere robusta e persistente anche se non sembra più tanto basata su competenza e trust, ma sul capitale reputazionale e mediatico: l’influencer diventa social icon. 

 

Il caso Achille Lauro-Gucci

Nell’edizione 2020 del Festival di Sanremo il cantante Achille Lauro ha fatto molto parlare di sé per l’uso provocatorio degli abiti firmati Gucci che ha indossato durante la sua esibizione, una performance costruita attraverso un attento gioco di rimandi storico-artistici (vanityfair.it). La collaborazione Lauro-Gucci è continuata in occasione delle sfilate milanesi e la formula con cui è proseguita è significativa dello slittamento che dicevamo sopra che vede il passaggio dall’influencer inteso come produttore di contenuti all’influencer che si fa allo stesso tempo contenuto e contenitore, significato e significante. Sui suoi account social Lauro non promuove esplicitamente il brand né il brand ospita il cantante sulle sue piattaforme, in questo modo ciò che emerge è unicamente lo storytelling della marca e dell’evento (le sfilate) amplificato dalla popolarità e dall’attualità del personaggio.

 

I Social Network abilitano una shopping experience social

La dimensione social ha modificato in modo irreversibile i tradizionali funnel utilizzati dal fashion marketing, che si sono rivelati del tutto inadeguati a intercettare comportamenti di consumo sempre più poliformi e irregolari. Si sono affermate strategie multicanale e multiformato, che hanno dato vita a una shopping experience nuova e originale, in cui le recensioni si dimostrano un driver estremamente potente. 

“L’irruzione dei social media in internet, la loro velocità di diffusione, le dimensioni raggiunte e le nuove forme di comunicazione che si impongono, fanno perdere al settore della moda ogni residua velleità elitista e dirigista. La condivisione e la partecipazione, mai così estese e socialmente allargate, diventano anche fattore di orientamento dei consumi tra i più importanti.” (Digital Megatrends in the Fashion Market: How digital environment impact fashion).

 

Instagram: il social preferito delle case di moda

Tutte le case di moda, anche quelle percepite come più “classiche”, hanno ormai scelto modalità di produzione e condivisione dei contenuti social. Tra i social network che maggiormente si prestano a una comunicazione veloce e ricettiva in grado di cogliere le suggestioni del presente, il marketing della moda punta sul potere delle immagini di Instagram.

In particolare, come afferma Isabella Ratti in un articolo sulla digital transformation nella moda è Instagram che dà, più degli altri social network, “la possibilità di instaurare un rapporto orizzontale tra consumatori e azienda: da un lato, l’utente può esprimere liberamente il proprio apprezzamento; dall’altro, le imprese possono parlare direttamente con il proprio pubblico e raggiungere una connessione molto più profonda con i clienti” (isabellaratti.com).

 

Il caso Balenciaga: differenziarsi con una estetica minimal ed eccentrica 

Come fa notare Gartner, la strategia social di Balenciaga è una risposta a un cambiamento culturale nel mercato del lusso. Balenciaga si fa gioco delle pretenziosità e dell’eleganza tipiche di una certa industria della moda e veicola invece un senso di imperfezione e autenticità che funziona molto bene tra i più giovani (la generazione Z contribuisce a circa il 60% delle vendite di Balenciaga). I selfie allo specchio sono abbastanza frequenti, numerose le foto di gatti. No hashtag e no didascalie. A differenza dei marchi di lusso tradizionali, Balenciaga non vuole restituire una visione precisa, accurata, univoca. Se la maggior parte degli account dei fashion brand, come per esempio Dior, condividono i “dietro le quinte” contestualmente a post “shoppable”, con hashtag puntuali per promuovere la loro linea, Balenciaga sembra rimanere al di fuori da una logica di “campagna” invitando alla condivisione in momenti “ad alta densità narrativa”, che non coincidono necessariamente con le uscite delle nuove collezioni.

 

Il Fashion Video Marketing: tre suggerimenti per farlo bene

Qual è il modo migliore per integrare il video marketing nel fashion? A giugno 2018 fa la sua comparsa IGTV, la piattaforma video verticale, integrata sia in Instagram sia funzionante come app autonoma, che permette la riproduzione di contenuti di lunga durata. Il lancio di IGTV e la velocità con cui è stata adottata dai marchi di moda, è una spia della incontestabile rilevanza del video nel marketing nel settore fashion. Come riportava Business of Fashion già qualche anno fa, i brand tendono a creare un numero sempre più alto di video come risposta al crescente consumo di video. Per questo oggi più che mai una efficace video strategy non può non far parte integrante del marketing digitale. 

Il video mette in scena una storia attraverso immagini in movimento, alimenta l’immaginazione, attiva una pluralità di significati contribuendo in modo determinante all’autenticità del racconto con cui un brand si presenta al proprio target. I video interattivi consentono inoltre ulteriori possibilità di partecipazione degli utenti e una maggiore opportunità di personalizzazione del messaggio.

Dalle dinamiche idiosincratiche delle diverse piattaforme all’importanza di riprese in formato già social-native, allo streaming live, al ruolo fondamentale dell’audio nel catturare l’attenzione negli intervalli sempre più brevi che gli utenti sono disposti a concedere, il video continua a evolversi. Non esistono regole definitive ma alcuni accorgimenti sembrano dare maggiori garanzie di efficacia. Ecco tre suggerimenti per sviluppare una strategia di video marketing nel fashion:

 

  1. realizza video nativi, per le diverse piattaforme, sfruttandone le caratteristiche strutturali e adeguandosi alle specifiche tecniche, che variano a seconda delle app e dei social media;
  2. scrivi titoli e sottotitoli creativi. I sottotitoli sono sempre più importanti: i video nel marketing del settore fashion si stanno accorciando e spesso devono essere riprodotti con l’audio disattivato perché sono consumati in spazi di tempo interstiziali, mentre sono in corso altre attività. Meglio, inoltre, se titoli e sottotitoli contengono qualche tipo di invito all’azione;
  3. controlla le reazioni del pubblico durante la diretta streaming. Lo streaming live è diventato uno strumento comune, sia per le sfilate, sia per la ripresa di conferenze stampa informali, sia per le interviste. Di conseguenza, i brand devono essere preparati a gestire reazioni, commenti, richieste. Devono fare uno sforzo di comprensione e implementare una efficace e strategia di moderazione e di contenimento che tenga conto di tutti i possibili rischi.

 

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