Articolo aggiornato al 27/04/2022

Le difficoltà dell’innovazione tecnologica

L’innovazione tecnologica ha cambiato e sta cambiando radicalmente il settore bancario. Tra omnicanalità, miglioramento della customer experience, eliminazione dei touch point fisici e app per l’home banking, gli istituti di credito sono davanti ad un bivio: innovarsi verso una digitalizzazione del settore o sparire.

In qualunque settore, la trasformazione digitale e l’innovazione tecnologica rappresentano due sfide, ma soprattutto due opportunità da non lasciarsi sfuggire per poter rimanere competitivi sul mercato. Questo è particolarmente vero per il settore bancario, per cui la digitalizzazione dei servizi è uno step obbligato.

Del resto, anche in altri ambiti è la stessa cosa, si pensi allo shopping con l’avvento dell’e-commerce, o al marketing e persino alla comunicazione. Innovate first è il comandamento. Farlo, però, non è sempre facile.

Ma quali sono i fattori che possono frenare l’innovazione tecnologica nel settore bancario?

 

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Il primo è senza dubbio la regolamentazione stringente. Considerato il suo ruolo delicato all’interno di ogni società, il settore bancario ha una normativa complessa ed articolata, che vincola molte delle attività che la banca può svolgere. Basti pensare, ad esempio, alla comunicazione pubblicitaria sia di brand sia di prodotto, che deve sottostare a precisi requisiti, in modo tale da permettere la piena comprensione dei prodotti offerti e il confronto tra le varie offerte sul mercato da parte del cliente.

La trasparenza e la tutela del consumatore, infatti, sono due finalità sempre perseguite quando si delinea il quadro normativo in materia di gestione e controllo dei prodotti bancari al dettaglio. Questo non deve stupire poiché l’attività che una banca può svolgere è composita. Gli stessi servizi che fornisce sono spesso sofisticati e complessi. Tutto ciò richiede, ovviamente, un sistema di regole specifico ed articolato.

In questo modo, gli spazi di manovra vengono notevolmente ridotti, poiché i procedimenti di approvazione ed attuazione richiedono tempo, mentre l’innovazione, specialmente se digitale, ha tempistiche brevi. Questa complessità, unita talvolta alla difficoltà di reazione, può mettere in difficoltà molte banche.

Basti pensare alla quantità di app, start-up o scaleup che forniscono servizi semplici e veloci che riescono a sostituire parzialmente l’attività della banca. Ad esempio, Nutmeg per quanto riguarda il “wealth management”, SyndicateRoom per l’”equity finance”, Starling per la gestione dei conti correnti o TransferWise per il trasferimento di valuta all’estero (fonte: Forbes).

A questo si aggiunga che, un ulteriore fattore di rallentamento della trasformazione tecnologica sono le resistenze interne. In alcuni casi, infatti, l’innovazione tecnologica comporta dei rischi, dal momento che spinge ad esplorare ambiti sconosciuti. Non sempre è facile spingere un’organizzazione strutturata e consolidata ad aprirsi a nuovi processi, anche per un fatto di suddivisione di responsabilità interna.

Per questo, sarebbe necessario prevedere dei sistemi di governance efficaci, che spingano i responsabili ad affrontare il rischio come una componente necessaria (e talvolta positiva) dell’innovazione, in modo da incentivarli a proporre e accettare le eventuali criticità come occasioni per sviluppare soluzioni originali. Inoltre, può capitare che all’interno della banca manchi la forza lavoro necessaria per attuare questa trasformazione.

Come vedremo poco oltre, non solo le banche, ma tutte le realtà di business hanno bisogno di competenze specifiche per fronteggiare la digitalizzazione. Cosa che spesso si traduce nella creazione di nuove figure lavorative che prima non esistevano. Non sempre però tali competenze sono immediatamente disponibili all’interno del mercato del lavoro o non lo sono, per lo meno, a condizioni convenienti.

Questo breve e non esaustivo elenco di difficoltà fa capire due cose. Primariamente, che quando si parla di innovazione tecnologica non ci si può limitare a constatare dei miglioramenti puramente tecnici, ma bisogna tenere conto di vere e proprie evoluzioni strutturali. Secondariamente, che l’innovazione tecnologica non è mai né facile, né scontata. Tuttavia, questo non ha impedito alle banche di intraprendere, nel corso degli anni, un importante percorso di cambiamento.

Del resto, secondo un report stilato da McKinsey ancora attuale, la trasformazione digitale deve essere assecondata da tutti gli istituti di credito in maniera rapida e convinta, per poter restare competitivi sul mercato. Le banche, senza dubbio, ne sono consapevoli e lo dimostrano alcuni trend che, da qualche tempo, hanno iniziato a cavalcare.

 

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Primo trend: spariscono le filiali

Primo trend di innovazione tecnologica è quello di ripensare le strutture di retail. La banca, da sempre, rientra tra i fornitori di servizi che sono intangibili, inseparabili (poiché non c’è separazione temporale tra la produzione e la fruizione), eterogenei (poiché variano da cliente a cliente) e deperibili (poiché non possono essere conservati, immagazzinati ed utilizzati in un secondo momento).

Proprio alla luce delle caratteristiche di prodotto, un elemento chiave delle strategie di marketing per tutti gli istituti finanziari era la Physical evidence. Era, infatti, fondamentale presidiare il territorio sia in termini di comunicazione (es. cartellonistica, volantinaggio, etc.) sia nello sviluppo di touch point funzionali a sviluppare il rapporto con la clientela.

Lo dimostra il fatto che nel 2012 gli sportelli presenti sul territorio italiano erano 32.881 unità e che il numero di succursali di alcune delle principali banche italiane superava (e non di poco) il numero dei punti vendita dei più importanti player della grande distribuzione.

Al contrario, più si va avanti e più ci sarà un approccio all’insegna del Phygital delivery. Non solo si sta andando e si tenderà sempre più, verso una costante chiusura degli sportelli e una riduzione delle filiali operative sul territorio nazionale (negli ultimi due anni c’è stato un calo del 3,4% di filiali in Italia), ma si riorganizzerà la distribuzione dei servizi, in modo tale che la fruizione avvenga su internet, dal computer o dal telefono (fonte: bancaditalia.it).

In questo modo, sarà possibile realizzare un notevole risparmio in termini di costi legati al mantenimento di punti fisici e si andrà maggiormente incontro alle necessità dei clienti.

Secondo trend: la banca in tasca

Il secondo trend, a ben vedere, si collega proprio a questo.

Per facilitare l’amministrazione delle loro entrate ed uscite, le banche puntano sempre di più a proporre a privati e imprese soluzioni come il conto a zero spese che permette di ridurre sia spese fisse (come imposte di bollo e costi delle carte) sia spese variabili (come i costi per bonifici e pagamenti).

In questo senso, un’evoluzione interessante dei servizi bancari potrebbe essere quello dello sviluppo sempre più consistente delle app di banking. È stato, infatti, rilevato che l’accesso ai servizi bancari tramite smartphone ha subito negli ultimi anni un incremento del 71% tra coloro che utilizzano queste applicazioni. Il dato non sorprende se si considera che sempre di più gli utenti/clienti cercano un’esperienza che sia digital first (fonte: insidemarketing.it).

Sempre secondo Mckinsey, infatti, la soddisfazione del cliente cresce all’aumentare della componente digitale della customer journey. Laddove i servizi sono offerti e fruiti solo ed unicamente tramite formati digitali, questi vengono preferiti rispetto a quelli “ibridi”, che richiedono lo svolgimento di azioni finali o iniziali presso una filiale.

Terzo trend: omnicanalità a servizio della customer experience

Terzo trend di innovazione tecnologica ormai consolidato, decisamente coerente con quelli appena descritti, è lo slittamento da parte dei principali istituti di credito verso unavisione omnichannel sia in termini di comunicazione che di marketing.

Cosa significa? Con visione omnichannel si intende quell’approccio organizzativo orientato all’integrazione del canale fisico e di quello digitale in modo tale da offrire al cliente un’esperienza di acquisto (intesa in senso lato) unica e per certo versi irripetibile.

In altri termini, tutte le banche o le aziende stanno iniziando ad utilizzare tutti i canali di comunicazione che hanno a disposizione per raggiungere il cliente (o potenziale tale) e fare attività di retail, ma anche di branding o di awareness. In questo modo, è possibile integrare ad esempio la comunicazione telefonica (SMS), con quella digitale (e-mail) e con quella offline (la filiale o lo sportello), creando così un ecosistema di canali perfettamente integrati e coordinati che si possono attivare in maniera diversa in base alla tipologia di cliente che si vuole raggiungere.

L’obiettivo, in definitiva, è sempre quello: offrire una customer experience unica e personalizzata in modo da veicolare efficacemente i propri messaggi.

Le banche, in sostanza, si sono rese conto che ogni cliente cerca un’esperienza personalizzata, che incontri nel modo più aderente possibile i suoi bisogni e le sue necessità. Questo tipo di esperienza passa necessariamente dal digitale e dal mobile.

La crescente attenzione rivolta alla customer experience è dimostrata anche dal modo in cui le banche presidiano i canali social (divenuti imprescindibili). Da quanto risulta dal Rapporto ABI “Banche e social media” il 92% delle banche italiane è presente sui social network e li utilizza, principalmente, per attività di customer care nonché per rafforzare la propria immagine e reputazione. Gli stessi ambiti di utilizzo sono anche quelli in cui si è assistito ad un maggior sviluppo.

Del resto, appare chiaro dai risultati del report che i canali sociali sono gli strumenti principali con cui aprire un dialogo con il pubblico: circa l’83% delle banche interagisce direttamente sui social con le persone, in modo da fornire un’assistenza clienti interattiva e personalizzata.

Tra l’altro, la customer care (e questo evidenzia un’ulteriore tendenza per il futuro) viene considerata una notevole opportunità per costruire ed approfondire un dialogo personale con i propri clienti/utenti, rafforzando dinamiche positive di coinvolgimento individuale.

Quarto trend: il consumatore al centro

Questo dimostra come l’atteggiamento nei confronti del cliente sia definitivamente cambiato.

In termini di marketing, le banche stanno iniziando ad adottare un approccio strategico, ossia puntano a sviluppare una visione sistemica del mercato, tenendo conto delle caratteristiche del mercato di riferimento e dei bisogni dei clienti target.

Non è, infatti, più sufficiente perseguire un modello di marketing puramente operativo, di breve o medio periodo, in cui si stabiliscono degli obiettivi da raggiungere, in termini di quote di mercato e di posizionamento, servendosi di un marketing mix composto da prodotto, prezzo, promozione e punto vendita.

Al contrario, per avere buoni risultati, specialmente nella comunicazione, occorre sviluppare una strategia di più ampio respiro, che punti a consolidare il rapporto con il cliente, che, soprattutto con l’avvento dei social, si è fatto più esigente.

Per questo, la comunicazione di settore sta cambiando radicalmente. Fondamentale, in questo senso, è concentrarsi su pochi messaggi, chiari ed essenziali. Contestualmente, occorre anche semplificare tutti i tipi di processi. Ad esempio, è stato osservato che la qualità della customer experience percepita dagli utenti/clienti  varia notevolmente in base al tempo: minore è il tempo impiegato per completare un’azione, di maggior livello sarà considerato il servizio.

Non a caso, anche le app di banking tengono conto della cosiddetta “two tap rule” teorizzata da Marissa Meyer, secondo cui un utente deve poter concludere con successo un processo con non più di due tap. Oltre a questo, le banche devono essere in grado di fornire soluzioni capaci di soddisfare altre esigenze specifiche, quali la sicurezza, la gradevolezza grafica e l’usabilità.

Per sviluppare contenuti di questo tipo sono necessarie competenze specifiche, che difficilmente una banca può sviluppare da sola al suo interno.

Quinto trend: non c’è sviluppo tecnologico senza competenze specifiche

Per questo, anche nel settore bancario, stanno emergendo alcune figure professionali inedite, destinate a diventare sempre più ricercate ed importanti.

Una figura che sta diventando sempre più importante, ad esempio, è il fast prototyper, ossia colui che è in grado di portare avanti processi di prototipazione, che permettono di simulare lo sviluppo reale di un prodotto, un servizio o una situazione. Così facendo, è possibile ridurre le perdite finanziare e soddisfare in modo più efficace i bisogni e le necessità dei clienti.

Nella nuova concezione di marketing, in cui una banca deve instaurare relazioni durevoli non solo con il cliente, ma anche con la società e l’ambiente in cui è inserita, sta diventando essenziale il CRM (Customer Realtionship Management) Specialist, ossia l’esperto di gestione delle relazioni con i clienti.

Quest’ultimo ha come obiettivo quello di rafforzare la relazione con i consumatori, puntando a renderla il più solida e duratura possibile, così da creare una vera e propria comunità di customers, in cui gli stessi individui si identificano per valori, principi e interessi.

Il CRM Specialist, inoltre, deve procedere alla segmentazione dei vari clienti, secondo l’estrazione sociale, i bisogni, gli interessi. In questo modo potrà individuare cluster coerenti e distinguibili e orientare le future scelte strategiche (come contattarli, quando, utilizzando quali canali, etc.)

Strettamente collegata a questa figura c’è il data analyst, ovvero colui che raccoglie i dati attraverso l’uso di strumenti di listening della rete e di altre tecnologie. Successivamente, li analizza e li interpreta, in modo da individuare l’origine degli stessi e ricavarne delle tendenze.

Tali competenze sono imprescindibili per qualsiasi azienda voglia essere competitiva sul mercato e lo testimoniano i dati relativi a questa professione. Ad oggi, in Italia circa un terzo delle piccole e media imprese ha un data analyst o, comunque, conta su una delle figure dedicate alla gestione dell’analisi dei dati (fonte: Osservatorio Big Data & Business Analytics)

Non solo. In base ad una ricerca fatta da Modis intervistando aziende di vario tipo (tra cui anche banche), è risultato che 97,44% degli intervistati considerano l’analisi dei big data un’opportunità, in particolare – ovviamente – in relazione all’ambito commerciale e di marketing, nonostante circa la metà del medesimo campione ritenga questi profili difficili da trovare sul mercato del lavoro.

Infine, un’altra figura di interesse per le banche è il content specialist, ovvero colui che deve dare voce all’istituto di credito creando contenuti di valore, rilevanti e coerenti con il posizionamento della banca, in modo tale da attrarre una audience qualificata e portare l’utente a una conversione redditizia per l’azienda.

Ad unire tutte queste nuove professionalità è un fil rouge che in realtà ha guidato l’innovazione tecnologica degli istituti finanziari in generale e di tutti coloro che fanno (o vogliono fare) business in modo efficace: l’attenzione al cliente.

Ogni futura innovazione sarà, infatti, concepita per rendere il rapporto con il cliente-utente ancora più stretto, semplice e diretto, dando il più possibile spazio alle necessità individuali di ciascuno.